12 dicembre 2007

FESTE E FESTIVITA' ROMANE - I SATURNALIA

In vista della fine dell'anno ci approssimiamo anche alla conclusione della nostra riscoperta delle festività romane, la maggior parte delle quali oramai pressochè scomparse, sulle quali mi sono maggiormente concentrato nel corso di quest'anno. Nei giorni dal 17 al 23 dell'attuale mese di Dicembre, che Catullo definiva i "giorni più belli dell'anno", si festeggiavano anticamente a Roma i "Saturnalia". La festa era dedicata a Saturno, dio dell'"età dell'oro", descritta da Esiodo ne "Le opere e i giorni" come la prima età mitica nella quale «...un'aurea stirpe di uomini mortali crearono nei primissimi tempi gli immortali che hanno la dimora sull'Olimpo. Essi vissero ai tempi di Crono, quando regnava nel cielo; come dèi passavan la vita con l'animo sgombro da angosce, lontani, fuori dalle fatiche e dalla miseria; né la misera vecchiaia incombeva su loro [...] tutte le cose belle essi avevano». In questa "aurea aetas" tutti gli uomini vivevano quindi in pace e senza bisogno di lavorare, esattamente come nel Paradiso Terrestre (primo parallelismo con il Cristianesimo). L'inizio dei Saturnalia era dato dallo svolgimento di riti religiosi davanti al Tempio di Saturno, nel Foro, cui seguivano dei banchetti (lectisternium) e festeggiamenti che coinvolgevano tutta la popolazione romana e che sono facilmente assimilabili ai festeggiamenti carnevaleschi (secondo parallelismo, ed altri ne vedremo in seguito) svolti a Roma dall'età rinascimentale fino alla fine del XIX° secolo. Questa sorta di carnevale era caratterizzata dalla più completa libertà di comportamenti: in omaggio al ricordo dell'uguaglianza dei "tempi d'oro", veniva concesso agli schiavi un periodo di libertà ed essi potevano così permettersi di banchettare assieme ai propri padroni, da cui potevano addirittura pretendere di essere serviti a tavola, in quello che era un vero e proprio scambio di ruoli. In effetti agli schiavi era perfino concesso ubriacarsi, stando alla stessa tavola con i padroni, senza poter essere ripresi per un comportamento che in altre occasioni avrebbe portato frustate o altre punizioni corporali e, in casi ancora più gravi, la morte. Il capovolgimento gerarchico prevedeva che i padroni si scambiassero di posto con i propri schiavi, li servissero a tavola e che non potessero cibarsi essi stessi finché gli schiavi non avessero mangiato e bevuto a loro piacimento. Senza dubbio nella settimana dei Saturnalia Roma era in preda a caos e confusione, come raccontano Seneca e Plinio il Giovane: quest'ultimo ci narra che durante i festeggiamenti si rifugiava in una dimora ai limiti della città, lontana dalla sfrenatezza e dagli schiamazzi di quei giorni.



Gli schiavi (e poi il popolino romano, che lo fece fino agli inizi del XX° secolo) andavano in giro per la città mascherati e con in testa il berretto frigio (che normalmente veniva posto sul loro capo soltanto in occasione del bramato momento della liberazione, quando cessavano di essere schiavi e diventavano cittadini romani, liberi a tutti gli effetti) abbandonandosi alla più sfrenata baldoria, mentre musici e danzatrici, attori e saltimbanchi improvvisavano ovunque i loro spettacoli. In quei giorni si potevano fare scommesse e giocare d'azzardo e dare luogo a scherzi d'ogni genere. Tipico della festa era anche lo scambio dei doni, per lo più candele e statuette di terracotta o di cera o perfino di mollica di pane, che alludevano agli uomini soggetti alla sorte e al "gioco" degli dèi.



Questo scambio di doni somiglia molto a quanto avviene nel nostro Natale. Un altro stupefacente parallelismo con i giorni nostri è relativo al fatto che i festeggiamenti del "Sol Invictus" erano immediatamente seguiti dalle "Sigillaria": una festività dedicata ai bambini in occasione della quale si regalavano loro dadi, anelli e piccoli oggetti in pietra o tavolette dipinte... praticamente la nostra Epifania.



Fu lo stesso imperatore Costantino, nel 330 (o nel 321) d.C., che operò l'unione tra la vecchia celebrazione pagana della rinascita del "nuovo sole", che cadeva il 25 Dicembre giorno del solstizio (non per nulla il 13 Dicembre, Santa Lucia, è il giorno più corto dell'anno e dal successivo le giornate iniziano ad allungarsi), con quella della nascita di Cristo: dalla nascita del "Sol Invictus" ("Dies Natalis Solis Invicti" - "Giorno di nascita del Sole Invitto") a quella della "luce spirituale" della cristianità. In effetti il culto del "Sol Invictus" era, precedentemente, molto diffuso nelle province romane della Siria e dell'Egitto, dove lo stesso termine "invictus" era associato al dio Mitra, una divinità solare della religione persiana e dell'Induismo, tutelatrice dell’onestà, dell’amicizia e dei contratti, adorato successivamente nei culti esoterici ed iconograficamente sempre rappresentato nell'atto di sacrificare un toro sacro; caratteristici ed immancabili nell'iconografia Mitraica sono anche il serpente, lo scorpione, il cane e la cornacchia. Successivamente il termine "invictus" venne attribuito, dai Romani, anche al dio Saturno.


Costantino designò anche la domenica, in precedenza dedicata al "dio sole", come il "Giorno del Signore" e giorno del riposo, anziché il sabato, lo Sabbath ebreo. In realtà, appunto, i Saturnalia non erano altro che una festa dalle lontane origini contadine, che coincideva con la fine dell'anno solare ed agricolo: concluso il lavoro dei campi con le operazioni della semina (che si diceva "satus" da cui, probabilmente, deriva il nome di Saturnus) si aveva a disposizione un periodo di relativo riposo, in attesa di ricominciare, in primavera, la lavorazione dei campi. Intanto, per propiziarsi il futuro prospero raccolto, con una sorta di rituale magico si dava fondo a quanto restava di quello che era stato prodotto nel corso dell'anno, con la speranza di riaverlo, magari accresciuto, nell'anno nuovo. Venendo poi a coincidere col solstizio d'inverno, la festa serviva anche a marcare il passaggio tra l'anno che finiva e quello che stava per iniziare. Per questo tra i doni c'erano anche beneauguranti noci, miele, datteri, e candele di cera che, accese, accrescevano simbolicamente la luce ed il calore del sole prossimo a risollevarsi sull'orizzonte per riprendere il suo corso nel cielo, dando nuova vita ai campi ed agli uomini.


DA WIKIPEDIA:

Letteralmente Natale significa "nascita". La festività del Dies Natalis Solis Invicti ("Giorno di nascita del Sole Invitto") veniva celebrata nel momento dell'anno in cui la durata del giorno iniziava ad aumentare dopo il solstizio d'inverno: la "rinascita" del sole.
Il termine solstizio viene dal latino solstitium, che significa letteralmente "sole fermo" (da sol, "sole", e sistere, "stare fermo").
Infatti nell'emisfero nord della terra tra il 22 e il 24 dicembre il sole sembra fermarsi in cielo (fenomeno tanto più evidente quanto più ci si avvicina all’equatore). In termini astronomici, in quel periodo il sole inverte il proprio moto nel senso della "declinazione", cioè raggiunge il punto di massima distanza dal piano equatoriale. Il buio della notte raggiunge la massima estensione e la luce del giorno la minima. Si verificano cioè la notte più lunga e il giorno più corto dell’anno. Subito dopo il solstizio, la luce del giorno torna gradatamente ad aumentare e il buio della notte a ridursi fino al solstizio d’estate, in giugno, quando avremo il giorno più lungo dell’anno e la notte più corta. Il giorno del solstizio cade generalmente il 21, ma per l’inversione apparente del moto solare diventa visibile il terzo/quarto giorno successivo. Il sole, quindi, nel solstizio d’inverno giunge nella sua fase più debole quanto a luce e calore, pare precipitare nell’oscurità, ma poi ritorna vitale e "invincibile" sulle stesse tenebre. E proprio il 25 dicembre sembra rinascere, ha cioè un nuovo "Natale". Questa interpretazione "astronomica" può spiegare perché il 25 dicembre sia una data celebrativa presente in culture e paesi così distanti tra loro. Tutto parte da una osservazione attenta del comportamento dei pianeti e del sole, e gli antichi, per quanto possa apparire sorprendente, conoscevano bene gli strumenti che permettevano loro di osservare e descrivere movimenti e comportamenti degli astri.


Nel 272 Aureliano sconfisse la principale nemica dell'impero (riunificandolo), la Regina Zenobia del Regno di Palmira, grazie all'aiuto provvidenziale della città-stato di Emesa (aiuto arrivato nel momento in cui le milizie romane si stavano sfaldando cedendo ai nemici). L'appoggio dei sacerdoti di Emesa, cultori del dio Sol Invictus, bendispose l'imperatore che, all'inizio della battaglia decisiva, disse di aver avuto la visione benaugurante del dio Sole di Emesa.
In seguito, nel
274, Aureliano trasferì a Roma i sacerdoti del dio Sol Invictus ed ufficializzò il culto solare di Emesa, edificando un tempio sulle pendici del Quirinale e creando un nuovo corpo di sacerdoti (pontifex solis invicti). Comunque, al di là dei motivi di gratitudine personale, l'adozione del culto del Sol Invictus fu vista da Aureliano come un forte elemento di coesione dato che, in varie forme, il culto del Sole era presente in tutte le regioni dell'impero.
Sebbene il Sol Invictus di Aureliano non sia ufficialmente identificato con
Mitra, richiama molte caratteristiche del mitraismo, compresa l'iconografia del dio rappresentato come un giovane senza barba (cosa anomala per l'iconografia di una divinità). Aureliano consacrò il tempio del Sol Invictus il 25 dicembre 274, in una festa chiamata dies natalis Solis Invicti, "Giorno di nascita del Sole Invitto", facendo del dio-sole la principale divinità del suo impero ed indossando egli stesso una corona a raggi. La festa del dies natalis Solis Invicti divenne via via sempre più importante in quanto si innestava, concludendola, sulla festa romana più antica, i Saturnalia
.

10 dicembre 2007

FESTE E FESTIVITA' ROMANE - 25 NOVEMBRE, SANTA CATERINA

Il 25 Novembre è la ricorrenza di Santa Caterina d’Alessandria d’Egitto, anche se della sua vita e del suo martirio si hanno poche e frammentarie notizie: secondo la tradizione, Caterina era una giovane egiziana (come in tutte le leggende immancabilmente bella) che, in occasione dell'insediamento ad Alessandria del governatore Massimino Daia, avvenuto nel 305, si recò a palazzo per assistere ai festeggiamenti. Poiché nel corso di tali festeggiamenti si celebravano festeggiamenti pagani con sacrifici di animali Caterina, condannandoli, chiese al governatore di riconoscere Gesù Cristo come redentore dell'umanità. Il governatore esortò un gruppo di retori affinché la convertissero e convincessero ad onorare gli dei pagani ma Caterina, dotata di grande intelligenza ed eloquenza, riuscì a capovolgere la situazione convertendo essa stessa i retori al Cristianesimo. Il governatore, pertanto, vista la mal parata, li condannò tutti a morte e, dopo l'ennesimo rifiuto di Caterina al paganesimo, condannò a morire anch'essa su una ruota dentata (strumento di tortura allora in voga). Ma la ruota, forse per intervento divino, si ruppe e Massimino fu obbligato a cambiar la sentenza di morte ed a far decapitare la santa. Secondo una leggenda nata successivamente, il suo corpo fu trasportato dagli angeli sul monte Sinai, dove nel VI° secolo, l'imperatore Giustiniano fondò il monastero che porta il nome della santa. La stessa Chiesa cattolica ha spesso espresso dei dubbi sulla reale esistenza della santa tanto che, curiosamente, gli anni nei quali il 25 Novembre cade di domenica, si festeggia in sua vece Cristo Re. L’iconografia Cristiana e quella Ortodossa della santa la ritraggono generalmente con abiti principeschi ed un ramo di palma tra le mani, a ricordo della vittoria sui nemici della fede cristiana. Inoltre sono quasi sempre presenti anche la ruota dentata (rotta), strumento del suo martirio, ed un libro, che ricorda la sua sapienza e che sta a rappresentare la sua funzione di protettrice degli studi e di alcune categorie dedite all'insegnamento (insegnanti ed ordini religiosi come i Domenicani e gli Agostiniani).


Ma a Roma, quella di Santa Caterina, è una celebrazione legata più che altro al cambio della stagione ed all’avvento del Natale. Secondo la tradizione romana, infatti, l'inverno avrebbe inizio il 25 Novembre, ad un mese esatto dal Natale, e proprio in questa data, come dice il Belli nel suo sonetto "Li ventiscinque novemmre" e fino agli inizi del ‘900, quando ancora non esistevano i riscaldamenti nelle abitazioni, era abitudine effettuare il cambio delle coperte, mettendo quella più pesante, ed accendere i bracieri da riscaldamento nelle stanze da letto e nelle cucine. All’entrata dei palazzi o delle case dei nobili e dei borghesi si stendeva una stuoia imbottita, quasi fosse un calendario dell’avvento. E proprio il 25 Novembre, appunto ad un mese esatto dal Natale, iniziavano a “calare” a Roma i “Pifferari”.

Questi personaggi abbigliati sommariamente, oramai scomparsi (anche se un moderno “pifferaio” mi è capitato di vederlo, qualche giorno fa per le vie del centro), altro non erano che agricoltori (costretti al "fermo" dalla stagione fredda e dalla neve che venivano a Roma per guadagnare qualcosa) e suonatori provenienti (per la maggior parte) dalle montagne abruzzesi. Il Belli ne parla spesso nei suoi sonetti: ne descrive la venuta a Roma con l’entusiasmo di un bambino dicendo che si sentiva rinascere e che a lui conciliava il riposo, nel dormiveglia, il suono grave ma un po’ stridulo e malinconico delle zampogne, cosa che ad altri, soprattutto agli stranieri non abituati a quel suono, dava invece molto fastidio; oppure li descrive anche fisicamente proprio nelle note autografe dei suoi sonetti. Facendo appunto riferimento al suo sonetto già citato il Belli li descrive come “…abruzzesi suonatori di pive e cornamuse o cennamelle che il popolo chiama “ciaramelle”, vestiti di mantelletti rattoppati che raramente giungono loro al ginocchio”. Generalmente gli zampognari (o pifferari) giravano in gruppetti di tre: uno suonava il piffero, uno la zampogna ed il terzo cantava litanie o canzoni dalle parole quasi sempre incomprensibili (sempre il Belli nelle sue note "...niuno può vantarsi di aver mai inteso ciò che essi cantano") ma, in fondo, era l'atmosfera che contribuivano a creare la cosa importante, non il testo delle loro canzonette.


Un’altra curiosità legata al 25 Novembre, come ad altri giorni dell’anno, è quella secondo la quale le condizioni meteorologiche del giorno di Natale sarebbero esattamente le stesse del giorno di Santa Caterina (…”Er tempo che ffarà cquela matina pe Natale ha da fàllo tal’e quale”. Come detto anche gli stranieri presenti a Roma nel periodo natalizio descrissero ampiamente l’abbigliamento ed il girovagare per le vie dei pifferai (o dei "Carciofolari”, cantori e suonatori d’arpa anch’essi provenienti prevalentemente dal vicino Abruzzo): William Gillespie, un turista americano in visita a Roma nel dicembre 1843, così li descriveva: "Già un mese prima di Natale le strade sono percorse da suonatori ambulanti di zampogne che sono detti Pifferai. Sono personaggi molto pittoreschi, dall'aspetto di banditi, con alti cappelli a pan di zucchero, decorati con piume e nastri svolazzanti, con mantelli di pelle di pecora, le gambe avvolte da strisce di panno a vivaci colori, i capelli lunghi e le barbe cespugliose."

LI VENTISCINQUE NOVEMMRE
Oggiaotto ch'è Ssanta Catarina Oggiaotto = tra una settimana
se cacceno le store pe le scale, store = stuoie
se leva ar letto la cuperta fina,
e ss'accenne er focone in de le sale.

Er tempo che ffarà cquela matina
pe' Nnatale ha da fàllo tal'e cquale.
Er busciardello cosa mette? Bbrina? busciardello = lunario
La bbrina vederai puro a Nnatale..

E ccominceno ggià li piferari
a ccala' da montagna a le maremme
co cquelli farajoli tanti cari! .

Che bbelle canzoncine! Oggni pastore
le cantò spiccicate a Bbettalemme
ner giorno der presepio der Zignore


LA NOVENA DE NATALE
Eh, ssiconno li gusti. Filumena
se fa vveni' cqueli gruggnacci amari facce tristi
de li scechi: Mariuccia e Mmadalena
chiameno sempre li carciofolari,

e a mmè mme pare che nun zii novena
si nun zento sona' li piferari:
co cquel'annata de cantasilena andamento cantilenante
che sserve, bbenemio!, so ttroppi cari.

Quann'è er giorno de Santa Caterina
che li risento, io ciarinasco ar monno:
me pare a mmé dde diventa' rreggina.

E cquelli che de notte nu li vonno?
Poveri sscemi! Io poi, 'na stiratina,
e mme li godo tra vviggijj' e sonno. nel dormiveglia

22 novembre 2007

LA CASA DEI GEMELLI

Romolo e Remo in un cesto, abbandonati e lasciati in balia delle acque del fiume, arrivarono in una zona acquitrinosa: la lupa li trovò, li accolse e li portò al sicuro, in una grotta. Alle pendici del Colle Palatino, nei pressi delle mura della Domus Augustea, si trova un’area che mai, fino ad ora, era stata esplorata. Tra la Chiesa di Sant’Anastasia ed il Tempio di Apollo si nascondeva, invece, indisturbato, il luogo del mito primigenio della storia di Roma. La notizia è di un paio di giorni fa: alle pendici del colle Palatino è stata rinvenuta quella che viene indicata come la grotta dove la lupa allattò Romolo e Remo, figli di Rea Silvia e del dio Marte: il cosiddetto "lupercale".



La grotta è stata trovata diversi metri sotto terra, nel corso dei lavori di restauro, finanziati dal Governo italiano con 12 milioni di euro, del palazzo di Augusto. Gli esperti hanno utilizzato prove fotografiche che inducono a pensare che la volta, che al centro mostra un'aquila bianca, sia ben conservata.



Grazie ad una sonda, portata a una profondità di 16 metri, è stato possibile “catturare” le immagini del luogo delle origini di Roma. Dato che il luogo del ritrovamento coincide con la zona delle fondamenta della villa di Augusto, si ritiene che nei pressi di quel luogo, tanto propizio per le sorti della futura città, l'imperatore condottiero abbia voluto fondare il suo palazzo imperiale (e proprio dal febbraio 2008, dopo essere rimasta chiusa per decenni a causa di possibili crolli, sarà possibile visitare l’area restaurata della Domus Augustae). Proprio per questo si ritiene che il luogo ove è stata rinvenuta la grotta fosse un santuario dove si professava il culto legato alla fondazione della città, santuario che Augusto trasformò in uno dei punti centrali della sua casa. In effetti tale culto, legato alla grotta del Lupercale, erano ancora vivo nel V° secolo, quando fu Papa Gelasio I° a proibire ai romani di correre intorno al Palatino frustando le donne per renderle fertili.
La grotta, situata verso il Circo Massimo ed a forma di ninfeo, è alta circa 9 metri e con un diametro di 7,5; ha una volta decorata a cassettoni con motivi geometrici, non figurativi, realizzati a mosaico con tessere di marmo policromo e filari di pietre e conchiglie bianche.





La struttura è costituita da una parte naturale ed una invece opera umana: come detto vi si può ammirare uno splendido (ed in perfette condizioni) mosaico che ne ricopre la volta.

Al centro della volta, l'aquila bianca dell'imperatore Augusto, che volle lasciare un suo segno nel luogo sacro. La grotta risalirebbe a prima della guerra di Troia. Evandro, alleato di Enea, avrebbe istituito qui il culto del Lupercale attorno al 1260 a.c. (quindi ben prima del 21 aprile 753 a.C., presunta data della fondazione di Roma), in onore di Luperco, dio della fertilità.
Le prossime mosse dei restauratori consisteranno nell'aprire un varco per entrare nella grotta, e nell'allestire un cantiere per svuotarla dal terriccio ancora presente in grandi quantità.

P.S.: sinceramente, nel vedere le fotografie delle agenzie di stampa, con tutte le fotocellule e l'illuminazione già ben studiata ed approntata, mi sembra che si sia già un passo avanti nei lavori. Vi terrò aggiornati.....

02 novembre 2007

FESTE ROMANE - I LUOGHI DELLA MEMORIA

Da una quindicina d'anni, in concomitanza con la festività di Ognissanti, il 2 di Novembre (ma in alcuni casi ed in alcuni luoghi anche la prima domenica di Novembre) si celebra quella che può essere definita una vera e propria manifestazione: I Luoghi della Memoria.
In quesa giornata, dedicata al ricordo dei propri cari defunti, alcuni attori e musicisti rendono omaggio "ai più" declamando poesie o leggendo pagine di prosa o, ancora, effettuando dei veri e propri concertini di musica sacra o classica nei luoghi di Roma maggiormente deputati alla commemorazione. Quindi, presso alcuni angoli dei cimiteri del Verano o di Prima Porta, presso il Cimitero Acattolico di San Paolo, ma anche presso luoghi sacri, chiese o monumenti, come il Pantheon o il Roseto Comunale (sorto sull'area di un vecchio cimitero ebraico), si può assistere a delle performances di attori (più di una volta vi ha partecipato anche Gigi Proietti) che recitano poesie o pagine di prosa inerenti il tema della morte (ma non solo). D'altro canto molti poeti e drammaturghi, musicisti, pittori e scultori hanno dedicato al tema della morte grandi pagine del proprio genio artistico.


C'è da dire che quasi immediatamente si crea un'atmosfera molto intima e particolare, malgrado la folla che si ferma ad ascoltare gli artisti. Forse tutto dipende dalla predisposizione dell'animo umano in questo giorno particolare, forse dal luogo in cui ci si trova o forse dalla bella giornata di sole ma con l'arietta freddina di inizio novembre che invita, malgrado tutto, a non stare in casa.

Proprio in questa data, l'Arciconfraternita dei devoti di Gesù al Calvario e di Maria Santissima Addolorata (in sollievo delle Anime Sante del Purgatorio), più brevemente detta dei "Sacconi Rossi" (fondata nel XVII° secolo), con il patrocinio dell'Ospedale San Giovanni Calibita - Fatebenefratelli, ha luogo nell'isola Tiberina, con partenza dalla chiesa di San Bartolomeo all'Isola, una processione notturna in memoria degli annegati nel Tevere, alla quale partecipano i membri della Confraternita debitamente abbigliati con il mantello rosso, da cui il nomignolo.
Compito dell'Arciconfraternita (che istituì la Via Crucis al Colosseo) era ripescare e dare sepoltura agli annegati nel Tevere (così come i corpi dei morti rinvenuti nella campagna o nelle strade della città venivano raccolti dall'Arciconfraternita della chiesa di Santa Maria dell'Orazione e Morte, in Via Giulia). La sepoltura degli annegati era molto particolare, infatti le ossa scarnificate venivano deposte in maniera, macabra ma quasi "decorativa", nel cimitero sotterraneo del convento dell'isola. Una cosa molto simile avveniva nella Cripta dei Cappuccini di Via Veneto e, appunto, nella chiesa di Santa Maria dell'Orazione e Morte in Via Giulia. Dal 1983 è stata ripristinata l'usanza (interrotta una prima volta intorno al 1870 e poi di nuovo verso la fine degli anni '60 del 1900) di celebrare una cerimonia in suffragio degli annegati nel Tevere: al tramonto del 2 Novembre, celebrata la messa nella chiesa di San Bartolomeo all'Isola (appunto sull'Isola Tiberina), i membri dell'Arciconfraternita, accompagnati da diverse autorità civili ed ecclesiastiche, si recano in processione lungo le sponde del Tevere generalmente fino a Ponte Garibaldi; qui viene gettata nel fiume una corona di fiori in omaggio ai defunti nel fiume. Dopodichè la processione torna nel cimitero sotterraneo del convento dove avviente una cerimonia di assoluzione ai resti dei confratelli.


Come detto quest'usanza è stata ripristinata (dopo l'estinzione del sodalizio, avvenuta intorno al 1960) nella prima metà degli anni '90 del 1900 grazie al "Centro Luigi Huetter per lo studio e la documentazione sulle Confraternite e le Università dei Mestieri Romane", all'Arciconfraternita di Santa Maria dell'Orto ed ai Francescani di San Bartolomeo all'Isola.

01 novembre 2007

CUCINA ROMANA: L'AMATRICIANA E LA MATRICIANA

Ispirato da una delle più belle poesie "culinarie" di uno dei miei attori preferiti, Aldo Fabrizi, grande personaggio della Roma "vera" (non per niente nato e vissuto nei pressi di Campo de Fiori) eccovi la ricetta della vera pasta all'Amatriciana.

INGREDIENTI:
500 gr. di Pasta, Spaghetti o Bucatini (al massimo Mezze Maniche)
100 gr. di Guanciale di maiale, abbastanza grasso e tagliato spesso
500 gr. di Pomodori San Marzano maturi oppure pelati in scatola
100 gr. di Pecorino (volendo si può mischiare a Parmigiano)
Un paio di cucchiai di olio d'oliva extravergine
1/2 bicchiere di Vino bianco secco (opzionale)
Peperoncino (non troppo abbondante: appena 'NA 'NTICCHIA).
Un pizzico di Sale

PROCEDIMENTO:
Sbollentare per pochi secondi i pomodori in acqua in ebollizione, passarli sotto l'acqua fredda e pelarli, quindi tagliarli a filettini. Se si utilizzano i pelati, sminuzzarli prima con le mani sfilacciandoli oppure schiacciandoli nel tegame con una forchetta. Tagliare il guanciale a fiammifero (ma non troppo sottile, meglio a listarelle di circa mezzo centimetro di larghezza) e metterlo in una padella preferibilmente di ferro con l'olio; far rosolare a fuoco vivace per qualche minuto, fino a quando il guanciale avrà preso colore. A cottura quasi ultimata aggiungere poco peperoncino, bagnare con il vino (per chi vuole usarlo: non utilizzandolo il guanciale rimarrà più croccante) e, non appena il vino sarà sfumato, togliere dalla padella i pezzetti di guanciale, tenendoli da parte, possibilmente in caldo in una coppetta coperta con carta stagnola. Mettere nel fondo di cottura rimasto i pomodori, un pizzico di sale e farli cuocere a fuoco vivace per qualche minuto. Rimettere in padella il guanciale, mescolando per circa un minuto. Nel frattempo scolare la pasta al dente e versarla in un recipiente, possibilmente preriscaldato. Unire tutti gli ingredienti aggiungendo il pecorino (magari mischiandovi un po' di parmigiano, per ottenere un gusto meno forte).

Ed ecco il "film" della realizzazione:
Tagliare a filetti il Guanciale ed i pomodori (non prima di averli tuffati mezzo minuto in acqua in ebollizione: questo farà si che la pelle venga via quasi da sola)



Mettere il guanciale a listarelle in due o tre cucchiai d'olio, possibilmente in una padella di ferro (si, quelle "nere" di una volta: io ho usato il saltapasta)


Appena hanno raggiunto il colore dorato toglierli e metterli in una ciotolina di vetro coperta con della pellicola d'alluminio, per mantenerli caldi e croccanti


Nel fondo di cottura rimasto in padella aggiungere i pomodori tagliati a filetti o a dadini e, dopo averli schiacciati con i rebbi di una forchetta, aggiungere un pizzico di sale ed uno di peperoncino


Volendo si può sfumare il sugo con mezzo bicchiere di vino bianco secco e poi aggiungere il guanciale messo da parte (per farlo rimanere croccante non aggiungere il vino). Dopo un minuto o due il sugo è pronto.


A questo punto aggiungere il Pecorino (io ho messo metà pecorino e metà parmigiano)


E BUON APPETITO !!!!

E questa è la poesia di Aldo Fabrizi che mi ha ispirato...

L'Amatriciana mia (di Aldo Fabrizi)

Soffriggete in padella staggionata,
cipolla, ojo, zenzero infocato,
mezz'etto de guanciale affumicato
e mezzo de pancetta arotolata.

Ar punto che 'sta robba e' rosolata,
schizzatela d'aceto profumato
e a fiamma viva, quanno e' svaporato,
mettete la conserva concentrata.

Appresso er dado, che je' da' sapore,
li pommidori freschi San Marzano,
co' un ciuffo de basilico pe' odore.

E ammalapena er sugo fa l'occhietti,
assieme a pecorino e parmigiano,
conditece de prescia li spaghetti.

L'origine del nome di questo condimento è controverso e si perde nella notte dei tempi: secondo alcuni l'Amatriciana viene da Amatrice, un paese ora in provincia di Rieti. Quando questo piatto è nato Amatrice geograficamente era in Abruzzo e l'Amatriciana doveva essere il pasto principale dei pastori, allora numerosissimi, per la sua semplicità e rapidità di preparazione. Originarimente era senza il pomodoro e si chiamava "Gricia" (che, a sua volta, deve il nome al paesino di Grisciano, vicino Amatrice), poi grazie alla scoperta dell'America ed a Cristoforo Colombo che importò in Europa il pomodoro, questo ingrediente fu aggiunto alla ricetta originaria e la "Gricia" divenne "Amatriciana".
Secondo altre fonti l'Amatriciana ha preso il nome da "matrice", un timbro che si metteva sulla guancia del maiale, ingrediente fondamentale della ricetta. L’invenzione dell'Amatriciana è rivendicata dai romani, cui sarebbe stata soltanto "ispirata" dai pastori amatriciani i quali, durante il periodo estivo, erano soliti spostarsi a Roma per vendere i loro prodotti caseari e le carni ovine e bovine. La "Matriciana" nasce quindi probabilmente a Roma e da Amatrice eredita solo alcuni ingredienti base: infatti i pastori provenienti dai territori confinanti con l’Abruzzo e l'alto Lazio pascolavano le greggi nelle campagne romane, portandosi dietro alimenti facilmente conservabili (pecorino, guanciale). Solo dopo, a Roma l’Amatriciana diventa Matriciana, con la fondamentale differenza del soffritto di cipolle e del pomodoro Casalino. Nel corso del Novecento, poi, Mussolini istituì la provincia di Rieti e provocò una ridefinizione di confini tra tre regioni limitrofe. In ogni caso l'Amatriciana risulta essere un riassunto perfetto della cucina dei territori interni del centro Italia, tanto da esserer quasi "mitizzata" e divenuta oramai protagonista di una festa di piazza che, tutti gli anni, nel mese d'agosto, si svolge sia ad Amatrice che a Roma, proprio in quel Campo de' Fiori "patria" di Aldo Fabrizi.

24 ottobre 2007

PERSONAGGI ROMANI - ERNESTO NATHAN


Riprendiamo il discorso...... e, al ritorno dalle ferie estive, torniamo a parlare di Roma e dei suoi personaggi degli ultimi due secoli.
In effetti dopo la Festa de Noantri e la celebrazione della Madonna della Neve fino a novembre non ci sono festività romane particolari (a parte quelle "minori" dell'antica Roma, di cui parlerò in approfonditi futuri post). Le uniche cose che possono essere segnalate sono gli anniversari della nascita di Giuseppe Gioachino Belli (tra i personaggi romani più conosciuti e di cui parlerò approfonditamente... tra un po') il 7 settembre, e l'anniversario della Breccia di Porta Pia, il 20 settembre 1870, grazie alla quale, con l'entrata dei Bersaglieri nelle mura della città, avvenne il passaggio di consegne tra la Roma Papalina e quella Repubblicana. L'entrata dei bersaglieri, in effetti, anche se non particolarmente festeggiata, al tempo, dal popolo romano, pose fine al dominio temporale dei papi nella futura capitale d'Italia (e non soltanto nella capitale): con questo avvenimento Roma visse l'inizio di una trasformazione culturale, politica, urbanistica e sociale che la porterà ad essere una delle città più importanti e vive del XX° secolo, tanto che nel 1912 Ernesto Nathan, il primo sindaco di Roma non facente parte di famiglie romane di antico e nobile lignaggio, coniò lo slogan "Piu scuola meno chiese" e perfino Paolo VI° definirà l'entrata dei Bersaglieri a Roma "Una benedizione di Dio".

Ernesto Nathan, nacque a Londra il 5 ottobre 1845 da madre italiana e perse il padre a quattordici anni. Visse tra Firenze, Lugano, Milano e la Sardegna, dove amministrò un cotonificio. L'influenza di Mazzini, conosciuto durante la sua permanenza a Londra, incise fortemente nella sua formazione e sul suo orientamento culturale e politico. Nathan giunse a Roma a 25 anni, proprio nel 1870, chiamato a lavorare come amministratore nel giornale “La Roma del Popolo”, ma presto si dedicò alla politica, tanto da ottenere la cittadinanza italiana nel 1888. L’anno precedente aveva aderito alla Massoneria e, nel 1895, divenne Gran Maestro del Grande Oriente d'Italia.


Nell'aprile 1889, malgrado venisse anche bonariamente preso in giro per il suo italiano ancora stentato ed "improbabile", fu eletto consigliere al Comune di Roma e più tardi nominato Assessore all'Economato ed ai Beni Culturali, proprio in concomitanza della ripresa della rivalorizzazione del patrimonio artistico romano e con quella dell’espansione urbanistica, dopo oltre due secoli di stasi. L’espansione urbanistica portò la popolazione romana dai 226 mila abitanti del 1870 agli oltre 500 mila del 1900. Vennero infatti realizzati, in questo lasso di tempo, grandi edifici pubblici e nuovi quartieri residenziali (tutti i palazzi della zona tra la Stazione Termini e Piazza Vittorio Emanuele, fino verso il Laterano, sono definiti "la Roma Umbertina". In particolare proprio i palazzi di Piazza Vittorio sono uno spaccato di edilizia tipicamente "piemontese/torinese": massicci palazzoni a tre o quattro piani costruiti su dei portici e con un affaccio su una grande piazza con giardino. Roma venne rifondata anche dal punto di vista della viabilità, dovendo assurgere al ruolo di Capitale d'Italia.
Nathan venne eletto sindaco nel 1907, rimanendo in carica fino al 1913. Il suo sforzo politico-amministrativo maggiore si rivolse alla migliore forma di controllo possibile verso la gigantesca speculazione edilizia che si era aperta con il trasferimento della capitale a Roma, un elaborato piano di istruzione per l'infanzia e l'attenzione verso la formazione professionale dei cittadini. Nel 1909 venne quindi approvato un complesso piano regolatore della città, il primo dopo quello che sul finire del secolo precedente aveva permesso la costruzione dei muraglioni del Tevere, per difendere la città dalle frequenti alluvioni causate dal fiume: il piano regolatore di Nathan definì le aree da urbanizzare fuori le mura, tenendo conto del fatto che oltre la metà delle aree edificabili era in mano ad 8 singoli proprietari. Come già detto, avviò anche una politica di opere pubbliche sfruttando tutti i finanziamenti possibili per realizzare edifici e opere che diventeranno poi i simboli della Roma capitale del regno. Vengono inaugurati nel 1911 il Vittoriano, il Palazzo di Giustizia, che i romani con il solito spirito caustico chiameranno subito "il palazzaccio", la passeggiata archeologica (oltre 40.000 metri quadrati) tra l'Aventino e il Celio e lo stadio Nazionale, l'attuale stadio Flaminio, il primo impianto moderno per manifestazioni sportive.


Il motto di Nathan "Più scuola meno chiese" portò all'apertura di circa 150 asili comunali, che fornivano anche la refezione. Curiosamente, Nathan, oltre che per il motto appena accennato è famoso anche per aver coniato quello che poi diventerà un detto popolare in tutta Italia: "Non c'è trippa per gatti". Infatti, quando gli venne presentato dagli amministratori capitolini il bilancio comunale, notando la voce "frattaglie per gatti", chiese spiegazioni. Il funzionario che gli aveva portato il documento rispose che si trattava di fondi per il mantenimento di una colonia di gatti che servivano a difendere dai topi i documenti custoditi negli uffici e negli archivi capitolini. Nathan cancellò la voce dal bilancio, adducendo la spiegazione che da quel giorno i gatti dovevano provvedere autonomamente al proprio sostentamento proprio cacciando i topi e, nel caso non avessero trovato più topi, sarebbe venuto a cessare anche lo scopo della loro presenza.
Morì nel 1921.

04 agosto 2007

FESTE ROMANE - IL MIRACOLO DELLA NEVE A SANTA MARIA MAGGIORE

La Basilica di Santa Maria Maggiore (conosciuta a Roma anche come Santa Maria della Neve o Basilica Liberiana, dal nome del papa che la fece edificare) vede intrecciarsi la sua costruzione all'immancabile leggenda romana: questa narra che nell'anno 352 d.C., un uomo agiato di nome Giovanni, non avendo discendenti diretti voleva fare opere pie con i propri averi, ma non sapeva in che modo adoperarsi. Nella notte tra il 4 e il 5 agosto gli apparve nel sonno la Madonna, che gli ordinò di costruire una chiesa nel luogo in cui il mattino seguente avrebbe trovato la neve. In effetti assistere ad una nevicata a Roma, in agosto, era un qualcosa di miracoloso, se non proprio impossibile. Ma la Madonna, la stessa notte era apparsa in sogno anche a papa Liberio e gli aveva detto di recarsi, il mattino successivo, in cima al colle Esquilino, che avrebbe trovato imbiancato di neve. Papa Liborio ed il ricco Giovanni si incontrarono in cima al colle, effettivamente imbiancato da un sottile strato di neve e, confidatisi i relativi sogni, stabilirono che le spese della costruzione sarebbero state assolte da Giovanni mentre con il bastone pastorale il papa tracciò il perimetro della chiesa direttamente nella neve. Una variante della leggenda dice che Giovanni si recò dal papa per raccontargli il sogno ed apprese che anche il papa aveva avuto la medesima visione onirica: si recarono quindi insieme sull'Esquilino e qui la nuova versione si fonde nella precedente. L'eco della leggenda non si è spento neanche nel terzo millennio ed ancora oggi, tutti gli anni, il 5 agosto si ricorda il miracoloso episodio con giochi di luce che simulano la nevicata o con una reale pioggia di petali di fiori bianchi che, dalla cupola della cappella Paolina, vengono fatti cadere a rievocare la miracolosa nevicata.



Secondo quanto scrive Paolino di Nola, contemporaneo della fondazione della basilica, l'abitudine di cospargere i pavimenti delle chiese di fiori, o di farli cadere dall'alto in occasione di particolari cerimonie, era piuttosto comune anche prima del periodo in cui si sarebbe verificata la miracolosa nevicata. Nel "Liber Politicus", del XII° secolo, si ricorda un'usanza "parallela" a quella di Santa Maria Maggiore: quella della "Domenica della rosa": nell'ultima domenica di quaresima il papa celebrava messa al Pantheon e gli veniva donata una rosa, mentre petali di fiori, a simboleggiare la discesa dello Spirito Santo, venivano lasciati cadere sui fedeli dall'occhio centrale del monumento, come una nevicata (tutt'ora questo rito si svolge nell'ultima domenica di Quaresima ed a gettare i petali dall'alto sono dei pompieri). Anticamente si pensava che la basilica sorgesse sui resti di un tempio dedicato a Giunone Lucina, la dea tradizionalmente invocata dalle donne romane nei parti. Secondo gli studiosi, non è improbabile che la basilica sia stata eretta per opporre il "parto virgineo della Madonna e stroncare il pervicace culto pagano a Iunio Lucina". Un'altra tradizione vuole che nelle vicinanze della chiesa abitasse il centurione Cornelio, il primo battezzato da S. Pietro a Roma le cui vesti "lavate nel lavacro del battesimo divennero più bianche della neve". Probabilmente un qualcosa di simile alla miracolosa nevicata può essere accaduto, anche se si reputa possa essersi effettivamente trattato soltanto di una forte grandinata, evento peraltro abbastanza plausibile anche in agosto. La basilica di Santa Maria Maggiore, una delle quattro basiliche patriarcali di Roma e l'unica ad aver conservato l'originale struttura paleocristiana, deve il proprio nome alla scelta fatta da papa Sisto III°, tra il 432 ed il 440, di confermarne la dedica alla Madonna, scelta quasi obbligata che Papa Liborio aveva fatto circa 80 anni prima costruendo una basilica dedicata alla maternità divina della Madonna, vergine e senza peccato, perciò bianca come la neve (da qui, molto probabilmene, nasce la leggenda).


In effetti non ci sono notizie certe sul fatto che la basilica liberiana sorgesse proprio nel luogo in cui sorge l'attuale basilica, anzi alcuni studiosi sostengono che si trovasse a diverse centinaia di metri di distanza. L'unica cosa verificata è che tra il 432 e il 440 Sisto III° fece edificare sulle rovine di un edificio precedente una basilica, parte della presente, che dedicò appunto alla maternità divina della Madonna, dogma poco prima definito dal Concilio di Efeso nel 431. Alcuni recenti scavi effettuati nei sotterranei della basilica hanno riportato alla luce delle rovine: una prima ipotesi riguardava il fatto che si potesse trattare del "Macellum Liviae", il mercato inaugurato da Tiberio nel 7 a.C. in onore della madre, ma la pianta e le dimensioni troppo piccole di queste rovine fanno escludere che si possa trattare di quest'opera. Il Macellum Liviae si trovava comunque nelle vicinanze, così come è appurato che sul colle Esquilino si trovassero costruzioni precedenti anche all'eventuale chiesa liberiana, di cui negli scavi delle fondamenta dell'attuale basilica non si sono trovate tracce. La chiesa era in passato anche nota con il nomignolo "ad Praesepe"(dal latino: praesepium = mangiatoia), già prima che nel VII° secolo vi fossero trasportati i resti della mangiatoia nella quale fu posto Gesù appena nato, e prima ancora era chiamata "Sicininum", a ricordo dello scisma di Ursino contro Damaso. I seguaci di Ursino occuparono la basilica e per un certo tempo fu il loro luogo di culto. Il titolo di basilica Sicinini resterà fino al IV° secolo. Secondo un codice custodito nella Biblioteca Vaticana la denominazione "ad nives" si fa risalire soltanto ad un periodo successivo il X° secolo e della leggenda della nevicata non troviamo traccia documentata se non nella Bolla di papa Niccolò IV° del 1288. Della basilica di Sisto III°, che quindi non avrebbe niente a che fare con quella fatta edificare da Liberio, restano le navate con le colonne ed i mosaici superiori, che celebrano il trionfo della chiesa sull'eresia Nestoriana. Sull'arco di trionfo il mosaico celebra la Natività di Gesù mentre le quaranta colonne che dividono le navate sono di marmo e provenivano dal tempio di Giunone Lucina. Fin dal 600 si dice che fossero custodite nella basilica delle reliquie portate dalla Palestina: in particolare sono stati reperiti riferimenti alla basilica denominata "Santa Maria ad Praesepe", mentre appare certo che la reliquia, ritenuta appartenere appunto alla culla di Gesù, fu portata nella basilica nel periodo del papa greco Teodoro I°, 624-649. Il 14 aprile 776, giorno di Pasqua, Carlo magno ricevette il battesimo nella basilica. Tra il 1198 ed il 1216 Innocenzo III° fece edificare la "Cappella del presepio" nella navata laterale, in prossimità dell'attuale "Cappella Sistina". Tra il 1294 e il 1308 Filippo Rusuti eseguì il mosaico della facciata, nella parte superiore della chiesa. Nel 1377 circa, venne aggiunto il Campanile, in stile romanico, il più alto della città, a commemorazione del ritorno di papa Gregorio IX° da Avignone. Delle campane ne rimane una sola, collegata all'orologio, risalente al 1289. Negli anni tra il 1428 ed il 1431 Masolino da Panicale dipinse l'Assunzione e il Miracolo della neve,


che ora si trovano nella Galleria Nazionale di Capodimonte a Napoli, nonché tavole con i santi Pietro, Paolo, Giovanni Evangelista e Martino, che si trovano a Philadelphia, mentre i santi Girolamo, Giovanni Battista, Libero e Mattia sono nella National Gallery di Londra. Durante il pontificato di Alessandro VI° Borgia, all'inizio del 1500, fu realizzato il soffitto a cassettoni di legno della navata centrale ed il fregio di legno lungo le pareti, secondo il progetto di Giuliano da Sangallo: l'oro con cui è ricoperto si dice fosse il primo giunto dalle appena scoperte Americhe e ricavato fondendo gli oggetti sottratti alle popolazioni indigene. In realtà già prima dell'anno 1000 la chiesa aveva una copertura a cassettoni.



Nel 1564, sembrerebbe su progetto di Michelangelo, iniziarono i lavori per la costruzione della cappella Sforza, la seconda da sinistra. Nel 1575 venne aperta via Merulana, che collegava direttamente il Laterano alla basilica. Nel 1585, su incarico di Sisto V°, Domenico Fontana iniziò, in fondo alla navata di destra, la costruzione della cappella Sistina per i cui lavori furono usati una parte dei materiali provenienti dal "Septizodium", una monumentale facciata-ninfeo a più piani innalzata da Settimio Severo per impressionare chiunque arrivasse a Roma dalla via Appia. Nell'ottobre del 1613 una delle due colonne della Basilica di Massenzio fu trasferita al centro della piazza antistante la basilica, mentre l'altra colonna venne donata a Caterina IIa di Russia e fu collocata a San Pietroburgo: tale avvenimento è stato celebrato con 6 diverse medaglie fatte coniare dal papa. La colonna è alta oltre 14 metri e sulla cima venne posta nel 1614 una statua bronzea della Madonna con in braccio il bambinello e con il piede che poggia sulla falce di luna. In occasione del Giubileo del 1750 l'architetto Ferdinando Fuga fu incaricato, da Papa Benedetto XIV°, di progettare una nuova facciata ed un nuovo portico: nella parte inferiore si possono notare cinque arcate mentre la parte superiore è costituita da una loggia a tre arcate, di cui quella centrale più alta e coronata da un timpano triangolare.


Nella loggia sono i mosaici del XIII° secolo, che originariamente erano esterni alla basilica.
La chiesa è lunga circa 85 metri ed è larga 32. Le colonne della navata centrale, come le generazioni da Abramo a Gesù, sono 42 e nella basilica si possono ammirare ben 36 mosaici, raffiguranti storie dell'Antico Testamento. Il soffitto della navata venne disegnato da Leon Battista Alberti, continuato da Giuliano da Sangallo e terminato dal fratello Antonio, mentre il pavimento è una splendida opera cosmatesca, in gran parte originale, del XII° secolo. Nella navata destra, accanto all'altare, c'è la semplicissima tomba del Bernini e dall'altare stesso due rampe permettono di scendere nella cripta, dove in un'urna, opera del Valadier, sono custoditi i resti della culla di Gesù. In un vano sotterraneo sono conservati resti di un presepe, ridotto ormai a quattro elementi: si ritiene che sia il primo Presepe mai realizzato con presenza di statue e fu commissionato da Papa Niccolo IV° nel 1288 ad Arnolfo di Cambio. La tradizione di questa rappresentazione sacra ha origini sin dal 432 quando papa Sisto III° fece costruire nella primitiva Basilica una "Grotta della Natività" simile a quella di Betlemme, poichè i numerosi pellegrini che tornavano a Roma dalla Terra Santa, portarono dei frammenti della culla di Gesù. Come già detto, e come avvenuto per quasi tutti i monumenti ed i palazzi edificati dal '500 all'800, gran parte dei materiali pregiati utilizzati per la basilica furono depredati ad altri monumenti dell'antica Roma. Il fonte battesimale consiste in un'urna circolare di porfido adattata nel 1800 dal Valadier, che la fece ricoprire di bronzi che lo dividono in otto spicchi: il cerchio dell'urna e l'ottagono interno stanno a simboleggiare la quadratura del cerchio, ovvero l'unione fra la terra e il cielo. Nella navata sinistra è inserita la Porta Santa della Basilica. La cappella Cesarini Sforza è stata ideata da Michelangelo e completata da Giacomo Della Porta, che con questa opera gettò le basi del Barocco. L'ultima cappella è la Paolina o Borghese: Paolo V° impiegò i migliori artisti ed i materiali più preziosi per far realizzare il suo monumento, che occupa tutta la parete di sinistra. Il papa volle un ricchissimo altare, dedicato alla Madonna: lo realizzò Pompeo Targoni, orafo famoso, che fece largo uso di bronzo, malachite, oro, agata, lapislazzuli ed altre pietre rare. L'icona bizantina della Vergine contenutavi, che secondo la tradizione popolare fu dipinta dal vivo da San Luca, è un'immagine molto venerata e ritenuta miracolosa: veniva infatti portata in processione durante le pestilenze.

Una curiosità legata alla basilica consiste nel fatto che le mogli maltrattate dai mariti dovevano percorrere a piedi la strada dalla chiesa di Santa Pudenziana a Trinità dei Monti alla cima dell'Esquilino, per poi fare in ginocchio la scalinata della parte posteriore della basilica.



28 luglio 2007

LE FESTE ROMANE - LA MADONNA FIUMAROLA E LA FESTA DE NOANTRI

Alla metà del mese di luglio si festeggia la Madonna del Carmine, ed ovviamente alla ricorrenza religiosa non poteva mancare l’inevitabile accostamento “profano”: infatti a partire dal primo sabato successivo il 16 luglio si da il via ai festeggiamenti di una delle feste maggiormente radicate nell’animo dei romani: la "Festa de Noantri". Forse anche per il fatto che con il caldo di luglio è sempre piacevole fare una passeggiata in cerca di refrigerio per le vie di Trastevere o sulle sponde del fiume, luoghi nei quali vengono allestiti stand gastronomici, di artigianato e trattorie all’aperto. La festa, dedicata alla Beata Vergine del Carmelo, meglio conosciuta come la Madonna del Carmine, fu voluta dai monaci carmelitani, nel 1226 e celebra la “prefigurazione” della Madonna al profeta Elia. La tradizione vuole che ad Elia, inginocchiato in preghiera sul monte Carmelo, in Palestina, apparve nel cielo sereno una piccola nuvola, che dette poi uno scroscio di pioggia improvviso. Ritenendo il fatto un evento divino il profeta si ritirò sul monte con un gruppo di adepti pregando e preannunciando la futura nascita della Vergine. All'inizio del XIII° secolo il patriarca di Gerusalemme raccolse questi oranti eremiti sotto un vero e proprio ordine: quello dei Carmelitani, dal nome del luogo in cui si erano raccolti in solitaria preghiera. Furono proprio i Carmelitani, giunti in Europa per sfuggire all'invasione mussulmana della Palestina, che chiesero al papa la possibilità di onorare la loro Madonna con dei solenni festeggiamenti. La caratteristica dell’abito dei Carmelitani consiste nello “scapolare”, una stola di stoffa derivata da un abito da lavoro ed atta a proteggere gli abiti normali, da indossare sulle spalle con apertura per la testa e pendente sul petto e sul dorso; la tradizione vuole che coloro che muoiano indossando lo scapolare vadano in Purgatorio per ascendere, nel primo sabato successivo, al Paradiso. La devozione per lo Scapolare nacque il 16 luglio 1251 quando la Madonna apparve a Simone Stock, un inglese padre dell'Ordine dei Carmelitani. Mostrandogli lo Scapolare la Madonna disse: "Chiunque muoia indossandolo non patirà il fuoco dell'inferno. Esso sarà simbolo di salvezza, protezione dai pericoli e promessa di pace." Quest'importante promessa fu ulteriormente confermata circa ottanta anni dopo, quando la Vergine apparve al futuro papa Giovanni XXII° e gli disse: "Coloro che sono stati investiti con questo Santo Abito saranno tolti dal Purgatorio il primo Sabato dopo la loro morte." Quest’ulteriore promessa è definita Privilegio Sabatico (del Sabato) e si basa sul decreto emesso proprio da papa Giovanni XXII° nel 1322, decreto confermato quattrocento anni più tardi da papa Paolo V°. Il termine Scapolare viene da "scapola", in quanto monaci e frati del Medio Evo indossavano sopra le spalle quell’indumento che arrivava a coprire il petto e che serviva nei momenti di lavoro per proteggere gli abiti civili. Aveva però anche un valore simbolico: lo Scapolare dei Carmelitani consiste in due piccoli lembi di lana marrone uniti da dei lacci e portato sulle spalle, di forma rettangolare e fatto di lana d'agnello (simbolo di Gesù, l'Agnello di Dio). Papa Pio X°, andando incontro alle diverse esigenze della vita moderna, concesse di sostituire lo Scapolare con una medaglia con da un lato l'immagine del Sacro Cuore e dall'altra quella della Madonna. Quel particolare abbigliamento si diffuse poi in tutta Europa, così come l’Ordine Carmelitano. Il 4 giugno 1489 il papa Innocenzo VIII° affidò la basilica di San Crisogono ai Carmelitani e ben presto, si formò una Confraternita denominata "Santa Maria Mater Dei del Carmine". Mezzo secolo dopo, a seguito di una bolla di Paolo III° del 30 novembre 1539, vennero concesse indulgenze e privilegi alle Confraternite dedicate al “Santissimo Sacramento”; l'allora priore dei Carmelitani, Giovanni Battista Granelli nel 1543, istituì nella chiesa di San Crisogono una nuova Confraternita che, unita alla preesistente venne denominata "Confraternita del Santissimo Corpo e della Gloriosissima Vergine Maria Mater Dei del Carmine".


Il primo aprile dello stesso anno i Carmelitani diedero alla Confraternita, ad uso di oratorio, la cappella dedicata alla Vergine del Carmine, situata in fondo alla navata destra della basilica di San Crisogono. Con lo svilupparsi della Confraternita la cappella-oratorio divenne insufficiente a soddisfare tutte le esigenze dei confratelli, che chiesero ed ottennero dai Carmelitani, il 5 febbraio 1588, anche un luogo adiacente al campanile della chiesa, dove costruirono un altro oratorio. I compiti assegnati ai confratelli erano principalmente quelli di mantenere il decoro dell'altare e dell'immagine della Vergine del Carmine; accompagnare il Santissimo Sacramento quando veniva portato agli infermi; partecipare, ogni quarta domenica del mese, alla processione dei Carmelitani in S. Crisogono, nonché provvedere, a loro spese, all’organizzazione della processione della statua di Maria per le vie di Trastevere. Per i suoi numerosi meriti, alla Confraternita fu concesso il titolo di Arciconfraternita e, dal 1605, anche il potere di far concedere la grazia, nel giorno di San Crisogono, ad un condannato alla pena capitale. L'Arciconfraternita aggregò a se due Confraternite fuori Roma: quella di Santa Maria Maddalena di Viterbo e quella della Madonna del Carmine di Nettuno. Nel 1627 i confratelli acquistarono un terreno di fronte alla Basilica di San Crisogono per costruire un nuovo oratorio, essendo rimasto danneggiato il precedente dai lavori di costruzione del portico della chiesa.


L'oratorio fu edificato grazie a Scipione Borghese, cardinale titolare della basilica e sostenitore della stessa Arciconfraternita e la cappella dell’oratorio fu ristrutturata completamente nel 1648 a spese del confratello Matteo Velentini. Il 7 ottobre del 1662 la Confraternita ottenne, dal Reverendissimo Capitolo di San Pietro, la solenne incoronazione della Vergine e del Bambino, privilegio questo riservato alle immagini ritenute miracolose. Le due figure del mosaico della chiesa furono quindi fregiate con corone d'oro, per una spesa di 166 scudi. L'Arciconfraternita dovette lasciare, in seguito ai lavori iniziati dal Comune per l'apertura di Viale Trastevere, l'oratorio sito di fronte alla basilica ed ampliato nel 1756; essa fu in primo tempo “ospitata” in Sant’Egidio e in seguito nella cappella di Santa Caterina nella chiesa di San Giovanni Battista dei Genovesi. Finalmente, per intercessione di Pio X°, (peraltro sostenuta anche dal cardinale Raffaele Mary del Val segretario di stato e protettore dell'Arciconfraternita) l'11 agosto 1909 ottenne la definitiva sistemazione nella chiesa di Sant’Agata.


Alla fine del XVII° secolo l'Arciconfraternita poteva vantare circa ventimila iscritti, mentre nei primi anni del XX° secolo si può dire che in ogni famiglia trasteverina vi fosse almeno un membro iscritto.
La festa della Madonna del Carmelo (o del Carmine) ha assunto, a partire dagli anni immediatamente susseguenti la Prima Guerra Mondiale (la prima fu organizzata nel 1927), delle connotazioni particolari, divenendo la “Festa de Noantri” (“noi altri”, dove tale denominazione sta ad indicare, ben distinguendoli dagli altri abitanti di Roma – e soprattutto dai “Monticiani” - gli abitanti di Trastevere). L’immancabile leggenda romana, probabilmente nata per “unire” la festività religiosa a quella “godereccia”, narra che nel 1535 alcuni pescatori trovarono sulle rive della foce del Tevere, impigliata nelle proprie reti da pesca, una cassa al cui interno giaceva una statua della Madonna, scolpita in legno di cedro. Subito risalirono il fiume e donarono la statua ai frati Carmelitani della chiesa di San Crisogono, perchè divenisse la Madonna protettrice dei Trasteverini (i popolani di Roma più veraci e sanguigni, insieme ai “Monticiani”, con i quali spesso, nel corso dei secoli, diedero vita a reciproche faide).


La Madonna fu poi trasferita in un apposito oratorio, fatto edificare nel ‘600 da Scipione Borghese presso la chiesa di Sant’Agata. Da allora, il sabato successivo alla festa del Carmelo, la Madonna, adornata di gioielli ed abiti preziosi, viene portata in processione dalla chiesa di Sant’Agata, attraversando le strade principali ed i vicoletti di Trastevere, fino alla chiesa di San Crisogono dalla quale, otto giorni dopo, viene ritrasferita con un’altra processione a Sant'Agata.




Il trasporto del baldacchino con la Madonna del Carmine durante la processione, anticamente organizzata dalla compagnia dei "vascellari" (i vasai, che creavano i boccali di terracotta e le brocche per servire il vino nelle osterie) e da quella dei "pescivendoli", veniva effettuato da un gruppo di popolani, chiamati “cicoriari” perché raccoglitori stagionali di cicoria: questi, nelle due processioni, portavano a spalla la pesante “macchina" sulla quale era sistemata la statua.





Fino ai primi anni del '900 i Confratelli si disputavano duramente il privilegio di portare il "Massiccio Tronco", cioè il crocifisso di legno che seguiva la Madonna Fiumarola, o quantomeno lo stendardo, altrettanto pesante. La fatica del portare il crocifisso e lo stendardo era alleviata da abbondanti bicchieri, ovviamente colmi di vino, che venivano offerti ai confratelli (tanto che a volte giunsero alla fine della processione ubriachi e scoppiarono addirittura delle risse o animate discussioni per motivi spesso futili). Come anche il Belli riporta in un suo sonetto:

"Ner porta' bene lo stennardo e er tronco
lì se vedeva l'òmo"

Per evitare ulteriori tafferugli Papa Leone XII° nel 1825 proibì che venissero trasportati in processione tronco e stendardo.


In seguito fu istituita l'Arciconfraternita del Santissimo Sacramento e di santa Maria del Carmine e, ancora oggi, per il trasporto della macchina nella processione vengono estratti a sorte trenta confratelli, vestiti con il tradizionale saio bianco ma privo dello scapolare. Per avere questo “onore” essi versano annualmente alla Confraternita delle “quote” anche abbastanza salate. L’onere del trasporto della macchina è mitigato dall’onore di assistere al rito della vestizione della statua che il “primicerio” della Confraternita esegue con estrema cura e sacralità: infatti questa viene vestita con abiti preziosissimi, disegnati appositamente da famosi stilisti e regalati anche, come avvenuto in passato, da Case reali. Tali vestiti, oggi custoditi custoditi direttamente dall'Arciconfraternita, erano in precedenza affidati - come la statua - alle cure delle Monache di Santa Apollonia.




La celebrazione della festa della Madonna del Carmine non fu interrotta neppure durante i bombardamenti di San Lorenzo della Seconda Guerra Mondiale, quando la Vergine fu portata in processione dai romani al buio e a piedi scalzi, in segno di lutto. La statua originale della Madonna Fiumarola andò persa durante il ‘700 e sostituita con l'attuale, in legno massiccio pesante 90 chili e viene trasportata per le vie di Trastevere su un baldacchino pesante 16 quintali. Il programma religioso dei festeggiamenti inizia il 16 Luglio con la messa, alle 17, presso la Chiesa di Sant'Agata. La tradizionale processione per le vie del quartiere si svolge il sabato successivo, dopo la messa, sempre alle 17. Da alcuni anni viene rievocata la "Processione Fiumarola" a testimonianza del ritrovamento della statua. L'evento viene riproposto a chiusura dell'ottavario: la domenica mattina la Madonna viene portata dai Confratelli all'imbarcadero di Ponte Sant'Angelo ed imbarcato su un natante. Alla presenza delle massime Autorità Religiose e Civili e da una moltitudine di fedeli, si discende il Tevere fino a Ponte Garibaldi, dove la Statua, sorretta dai Confratelli, prosegue la processione verso la Basilica di Santa Maria in Trastevere, ove si conclude il pellegrinaggio Mariano con una veglia di preghiere.



Il rientro in Sant'Agata si ha con la tradizionale processione alle 6.30 del mattino del giorno dopo. L'Ottavario è così importante che molti pontefici si resero partecipi della solennità e Pio X° nel maggio 1904 chiese di essere iscritto nel Registro Confraternale.

Tornando alla chiesa di Sant'Agata ritengo sia utile fare una breve biografia della santa, martirizzata verso la metà del III° secolo. Nacque a Catania agli inizi del III° secolo, quando l'editto dell'imperatore Settimio Severo stabilì che i cristiani prima potevano essere denunciati alle autorità e poi invitati ad abiurare in pubblico la loro nuova fede, per tornare ad adorare gli dei pagani: se accettavano ricevevano un attestato (chiamato Libellum), che confermava la loro appartenenza al paganesimo, in caso contrario venivano torturati e poi uccisi. Nel 249 l'imperatore Decio decise che tutti i cristiani dovevano essere ricercati, arrestati, torturati e uccisi. Agata apparteneva ad una ricca e nobile famiglia catanese di fede cristiana, tanto che i genitori la educarono secondo il loro credo. All'età di 15 anni si dedicò alla vita monacale e il vescovo di Catania le impose il "Flammeum", il velo rosso portato dalle vergini consacrate. Il proconsole Quinziano, vedendola rimase folgorato dalla sua bellezza e, forte dell'editto dell'imperatore Decio, l'accusò di vilipendio della religione di Stato ed ordinò che venisse condotta al palazzo pretorio, dove avrebbe potuto tentare di sedurla più facilmente, ma tutti i suoi tentativi fallirono. Egli allora mise in atto un programma di “rieducazione” affidandola alle cure di una cortigiana di nome Afrodisia, affinché la rendesse più “disponibile”; sottoposta a tentazioni di ogni genere, resistette per proteggere la sua verginità dedicata al Signore. Sconfitta, Afrodisia, riconsegnò Agata a Quinziano che, furioso, la fece processare. Subì molti interrogatori e torture; le vennero stirate le membra, la sua pelle fu lacerata con pettini di ferro, scottata con lame infuocate ma ogni tortura, invece di piegarla al volere di Quinziano, sembrava darle nuove forze; il proconsole le fece allora tagliare i seni con enormi tenaglie (Agata infatti, viene rappresentata con i due seni posati su un piatto e con le enormi tenaglie); mentre era in preghiera rinchiusa nella sua cella, le apparve San Pietro apostolo, accompagnato da un bambino porta lanterna, che le risanò i seni. Quando fu ricondotta alla presenza di Quinziano, questi, vedendo le ferite rimarginate, le chiese esterrefatto cosa fosse accaduto e la vergine rispose: "Mi ha fatto guarire Cristo". Il proconsole, oramai sconfitto e rassegnato, ordinò che fosse arsa su un letto di carboni ardenti, con lame arroventate e punte infuocate. Secondo la tradizione, mentre il fuoco bruciava le sue carni, non bruciava il velo virginale da lei indossato: per questa ragione "il velo di Sant'Agata" diventò da subito uno delle reliquie più preziose e venerate. Mentre Agata veniva suppliziata un forte terremoto scosse Catania: la folla spaventata si ribellò all'atroce supplizio della vergine ed il proconsole la fece riportare agonizzante in cella, dove morì qualche ora dopo, il 5 febbraio 251. Un anno esatto dopo il 5 febbraio 252, una forte eruzione dell'Etna minacciò Catania: molte persone corsero al sepolcro di Agata, presero il velo che ancora la ricopriva e lo opposero alla lava, che si arrestò; da allora Sant'Agata divenne la protettrice contro le eruzioni vulcaniche e contro gli incendi. Le sue reliquie sono conservate nel duomo di Catania in una cassa argentea; vi è anche il busto argenteo della Santa, che reca sul capo una corona, dono di re Riccardo Cuor di Leone. Anche a Roma fu molto venerata: Papa Simmaco eresse in suo onore una basilica ed un'altra le fu dedicata da San Gregorio Magno nel 593: la chiesa di Sant'Agata in Trastevere, accresciuta di un monastero. In epoca rinascimentale, alcuni fedeli, desiderosi di condurre vita in comune, si riunirono in una casa presso ponte Sisto e Gregorio XIII°, con bolla dell'11 agosto 1575, soppresse la parrocchia secolare e concesse la chiesa agli "Operai della Compagnia della Dottrina Cristiana", prendendo il nome di "Agatisti". Nel 1600, Clemente VIII°, concesse alla Compagnia la chiesa di San Martino in Panarella, tanto piccola da essere chiamata San Martinello. Paolo V°, il 6 ottobre 1607, pose la Compagnia sotto la protezione della Santa Sede e la eresse, come già detto, in Arciconfraternita nella basilica di San Pietro, assegnandole come protettore il cardinale vicario pro-tempore e consentendole il privilegio di poter avere aggregazioni. Lo stesso pontefice approvò nel 1611 le regole della Compagnia, confermate nel 1677 da Innocenzo XI°. Papa Clemente XII°, nel marzo 1733, affidò alla Compagnia anche la piccola chiesa di San Pantaleone ai Monti, nei pressi di San Pietro in Vincoli. Ma lo sforzo della Compagnia nel gestire le parrocchie affiliate fu troppo grave e papa Benedetto XIV° soppresse l'Arciconfraternita di Santa Maria del Pianto concedendo detta chiesa e annesso oratorio, con tutte le rendite, alla Società della Dottrina Cristiana. Il 18 dicembre 1747 unì i padri di Sant’Agata in Trastevere e gli "Agatisti" alla Congregazione della Dottrina Cristiana, originariamente fondata nel 1592 ad Avignone da Cesare de Bus. Con strumento dell'11 agosto 1909 subentrava in Sant'Agata in Trastevere l'Arciconfraternita del Santissimo Sacramento e di Maria Santissima del Carmine, con l'incombenza di incrementare il culto della Vergine che già era notevole tra gli abitanti del quartiere.
Come detto, con il passar degli anni, lo spirito festivo della celebrazione si è trasformato in una festa che coinvolge praticamente tutti i romani, attirati dalla processione ma che poi, attratti anche dalle bancarelle, dalle osterie, dalle manifestazioni e dagli spettacolini degli artisti ambulanti (ma, forse, soprattutto sperando in qualche fresco refolo di Ponentino), si riversano in tutte le strade del rione. Numerosi sono ancora oggi anche i venditori di cocomeri, grattachecche (ghiaccio tritato insaporito con sciroppi e pezzi di frutta), fusaje e bruscolini (lupini e semi di zucca). La Festa de Noantri è divenuta, negli anni, un evento di rilievo internazionale, capace di richiamare migliaia di turisti e l’attenzione sia delle Autorità locali che delle più alte cariche dello Stato, primo tra tutti l’ex Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, nonché i più illustri rappresentanti della scena politica internazionale: il re di Spagna Juan Carlos di Borbone (nato a Roma ed affettivamente legato da sempre alla nostra città), il Primo Ministro Inglese Tony Blair, il Presidente del Governo Spagnolo Zapatero, il Presidente della Repubblica Francese Jacques Chirac, il Presidente della Repubblica Brasiliana Lula da Silva, il Cancelliere Tedesco Angela Merkel. Solo nel 2006 hanno partecipato alla celebrazione gli Ambasciatori di ben diciotto Paesi del panorama continentale ed intercontinentale e la festa ha fatto registrare la presenza di circa due milioni di persone tra fedeli e turisti. Una caratteristica curiosa della festa consiste nel Torneo dei Camerieri: una vera e propria corsa che si svolge tutti i sabati alle 9.30: questi devono correre per le vie del quartiere tenendo in mano un vassoio con dei bicchieri, che ovviamente non devono cadere pena la squalifica. Questa corsa caratteristica si è svolta in passato anche nei pressi del Colosseo o nel perimetro di Campo de Fiori.


Altre gare popolari che si svolgono durante i festeggiamenti sono la corsa con i sacchi, l'albero della Cuccagna, la pentolaccia e due maratonine di 2 e 10 chilometri. Negli ultimi anni migliaia di persone hanno partecipato ogni sera ai festeggiamenti per le vie di Trastevere e lungo le sponde del fiume (dove si svolge una manifestazione parallela alla festa “de Noantri”). L’immancabile spettacolo pirotecnico sul fiume conclude i festeggiamenti.

Per il programma dei festeggiamenti: http://www.arciconfraternitadelcarmine.it/