12 dicembre 2007

FESTE E FESTIVITA' ROMANE - I SATURNALIA

In vista della fine dell'anno ci approssimiamo anche alla conclusione della nostra riscoperta delle festività romane, la maggior parte delle quali oramai pressochè scomparse, sulle quali mi sono maggiormente concentrato nel corso di quest'anno. Nei giorni dal 17 al 23 dell'attuale mese di Dicembre, che Catullo definiva i "giorni più belli dell'anno", si festeggiavano anticamente a Roma i "Saturnalia". La festa era dedicata a Saturno, dio dell'"età dell'oro", descritta da Esiodo ne "Le opere e i giorni" come la prima età mitica nella quale «...un'aurea stirpe di uomini mortali crearono nei primissimi tempi gli immortali che hanno la dimora sull'Olimpo. Essi vissero ai tempi di Crono, quando regnava nel cielo; come dèi passavan la vita con l'animo sgombro da angosce, lontani, fuori dalle fatiche e dalla miseria; né la misera vecchiaia incombeva su loro [...] tutte le cose belle essi avevano». In questa "aurea aetas" tutti gli uomini vivevano quindi in pace e senza bisogno di lavorare, esattamente come nel Paradiso Terrestre (primo parallelismo con il Cristianesimo). L'inizio dei Saturnalia era dato dallo svolgimento di riti religiosi davanti al Tempio di Saturno, nel Foro, cui seguivano dei banchetti (lectisternium) e festeggiamenti che coinvolgevano tutta la popolazione romana e che sono facilmente assimilabili ai festeggiamenti carnevaleschi (secondo parallelismo, ed altri ne vedremo in seguito) svolti a Roma dall'età rinascimentale fino alla fine del XIX° secolo. Questa sorta di carnevale era caratterizzata dalla più completa libertà di comportamenti: in omaggio al ricordo dell'uguaglianza dei "tempi d'oro", veniva concesso agli schiavi un periodo di libertà ed essi potevano così permettersi di banchettare assieme ai propri padroni, da cui potevano addirittura pretendere di essere serviti a tavola, in quello che era un vero e proprio scambio di ruoli. In effetti agli schiavi era perfino concesso ubriacarsi, stando alla stessa tavola con i padroni, senza poter essere ripresi per un comportamento che in altre occasioni avrebbe portato frustate o altre punizioni corporali e, in casi ancora più gravi, la morte. Il capovolgimento gerarchico prevedeva che i padroni si scambiassero di posto con i propri schiavi, li servissero a tavola e che non potessero cibarsi essi stessi finché gli schiavi non avessero mangiato e bevuto a loro piacimento. Senza dubbio nella settimana dei Saturnalia Roma era in preda a caos e confusione, come raccontano Seneca e Plinio il Giovane: quest'ultimo ci narra che durante i festeggiamenti si rifugiava in una dimora ai limiti della città, lontana dalla sfrenatezza e dagli schiamazzi di quei giorni.



Gli schiavi (e poi il popolino romano, che lo fece fino agli inizi del XX° secolo) andavano in giro per la città mascherati e con in testa il berretto frigio (che normalmente veniva posto sul loro capo soltanto in occasione del bramato momento della liberazione, quando cessavano di essere schiavi e diventavano cittadini romani, liberi a tutti gli effetti) abbandonandosi alla più sfrenata baldoria, mentre musici e danzatrici, attori e saltimbanchi improvvisavano ovunque i loro spettacoli. In quei giorni si potevano fare scommesse e giocare d'azzardo e dare luogo a scherzi d'ogni genere. Tipico della festa era anche lo scambio dei doni, per lo più candele e statuette di terracotta o di cera o perfino di mollica di pane, che alludevano agli uomini soggetti alla sorte e al "gioco" degli dèi.



Questo scambio di doni somiglia molto a quanto avviene nel nostro Natale. Un altro stupefacente parallelismo con i giorni nostri è relativo al fatto che i festeggiamenti del "Sol Invictus" erano immediatamente seguiti dalle "Sigillaria": una festività dedicata ai bambini in occasione della quale si regalavano loro dadi, anelli e piccoli oggetti in pietra o tavolette dipinte... praticamente la nostra Epifania.



Fu lo stesso imperatore Costantino, nel 330 (o nel 321) d.C., che operò l'unione tra la vecchia celebrazione pagana della rinascita del "nuovo sole", che cadeva il 25 Dicembre giorno del solstizio (non per nulla il 13 Dicembre, Santa Lucia, è il giorno più corto dell'anno e dal successivo le giornate iniziano ad allungarsi), con quella della nascita di Cristo: dalla nascita del "Sol Invictus" ("Dies Natalis Solis Invicti" - "Giorno di nascita del Sole Invitto") a quella della "luce spirituale" della cristianità. In effetti il culto del "Sol Invictus" era, precedentemente, molto diffuso nelle province romane della Siria e dell'Egitto, dove lo stesso termine "invictus" era associato al dio Mitra, una divinità solare della religione persiana e dell'Induismo, tutelatrice dell’onestà, dell’amicizia e dei contratti, adorato successivamente nei culti esoterici ed iconograficamente sempre rappresentato nell'atto di sacrificare un toro sacro; caratteristici ed immancabili nell'iconografia Mitraica sono anche il serpente, lo scorpione, il cane e la cornacchia. Successivamente il termine "invictus" venne attribuito, dai Romani, anche al dio Saturno.


Costantino designò anche la domenica, in precedenza dedicata al "dio sole", come il "Giorno del Signore" e giorno del riposo, anziché il sabato, lo Sabbath ebreo. In realtà, appunto, i Saturnalia non erano altro che una festa dalle lontane origini contadine, che coincideva con la fine dell'anno solare ed agricolo: concluso il lavoro dei campi con le operazioni della semina (che si diceva "satus" da cui, probabilmente, deriva il nome di Saturnus) si aveva a disposizione un periodo di relativo riposo, in attesa di ricominciare, in primavera, la lavorazione dei campi. Intanto, per propiziarsi il futuro prospero raccolto, con una sorta di rituale magico si dava fondo a quanto restava di quello che era stato prodotto nel corso dell'anno, con la speranza di riaverlo, magari accresciuto, nell'anno nuovo. Venendo poi a coincidere col solstizio d'inverno, la festa serviva anche a marcare il passaggio tra l'anno che finiva e quello che stava per iniziare. Per questo tra i doni c'erano anche beneauguranti noci, miele, datteri, e candele di cera che, accese, accrescevano simbolicamente la luce ed il calore del sole prossimo a risollevarsi sull'orizzonte per riprendere il suo corso nel cielo, dando nuova vita ai campi ed agli uomini.


DA WIKIPEDIA:

Letteralmente Natale significa "nascita". La festività del Dies Natalis Solis Invicti ("Giorno di nascita del Sole Invitto") veniva celebrata nel momento dell'anno in cui la durata del giorno iniziava ad aumentare dopo il solstizio d'inverno: la "rinascita" del sole.
Il termine solstizio viene dal latino solstitium, che significa letteralmente "sole fermo" (da sol, "sole", e sistere, "stare fermo").
Infatti nell'emisfero nord della terra tra il 22 e il 24 dicembre il sole sembra fermarsi in cielo (fenomeno tanto più evidente quanto più ci si avvicina all’equatore). In termini astronomici, in quel periodo il sole inverte il proprio moto nel senso della "declinazione", cioè raggiunge il punto di massima distanza dal piano equatoriale. Il buio della notte raggiunge la massima estensione e la luce del giorno la minima. Si verificano cioè la notte più lunga e il giorno più corto dell’anno. Subito dopo il solstizio, la luce del giorno torna gradatamente ad aumentare e il buio della notte a ridursi fino al solstizio d’estate, in giugno, quando avremo il giorno più lungo dell’anno e la notte più corta. Il giorno del solstizio cade generalmente il 21, ma per l’inversione apparente del moto solare diventa visibile il terzo/quarto giorno successivo. Il sole, quindi, nel solstizio d’inverno giunge nella sua fase più debole quanto a luce e calore, pare precipitare nell’oscurità, ma poi ritorna vitale e "invincibile" sulle stesse tenebre. E proprio il 25 dicembre sembra rinascere, ha cioè un nuovo "Natale". Questa interpretazione "astronomica" può spiegare perché il 25 dicembre sia una data celebrativa presente in culture e paesi così distanti tra loro. Tutto parte da una osservazione attenta del comportamento dei pianeti e del sole, e gli antichi, per quanto possa apparire sorprendente, conoscevano bene gli strumenti che permettevano loro di osservare e descrivere movimenti e comportamenti degli astri.


Nel 272 Aureliano sconfisse la principale nemica dell'impero (riunificandolo), la Regina Zenobia del Regno di Palmira, grazie all'aiuto provvidenziale della città-stato di Emesa (aiuto arrivato nel momento in cui le milizie romane si stavano sfaldando cedendo ai nemici). L'appoggio dei sacerdoti di Emesa, cultori del dio Sol Invictus, bendispose l'imperatore che, all'inizio della battaglia decisiva, disse di aver avuto la visione benaugurante del dio Sole di Emesa.
In seguito, nel
274, Aureliano trasferì a Roma i sacerdoti del dio Sol Invictus ed ufficializzò il culto solare di Emesa, edificando un tempio sulle pendici del Quirinale e creando un nuovo corpo di sacerdoti (pontifex solis invicti). Comunque, al di là dei motivi di gratitudine personale, l'adozione del culto del Sol Invictus fu vista da Aureliano come un forte elemento di coesione dato che, in varie forme, il culto del Sole era presente in tutte le regioni dell'impero.
Sebbene il Sol Invictus di Aureliano non sia ufficialmente identificato con
Mitra, richiama molte caratteristiche del mitraismo, compresa l'iconografia del dio rappresentato come un giovane senza barba (cosa anomala per l'iconografia di una divinità). Aureliano consacrò il tempio del Sol Invictus il 25 dicembre 274, in una festa chiamata dies natalis Solis Invicti, "Giorno di nascita del Sole Invitto", facendo del dio-sole la principale divinità del suo impero ed indossando egli stesso una corona a raggi. La festa del dies natalis Solis Invicti divenne via via sempre più importante in quanto si innestava, concludendola, sulla festa romana più antica, i Saturnalia
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10 dicembre 2007

FESTE E FESTIVITA' ROMANE - 25 NOVEMBRE, SANTA CATERINA

Il 25 Novembre è la ricorrenza di Santa Caterina d’Alessandria d’Egitto, anche se della sua vita e del suo martirio si hanno poche e frammentarie notizie: secondo la tradizione, Caterina era una giovane egiziana (come in tutte le leggende immancabilmente bella) che, in occasione dell'insediamento ad Alessandria del governatore Massimino Daia, avvenuto nel 305, si recò a palazzo per assistere ai festeggiamenti. Poiché nel corso di tali festeggiamenti si celebravano festeggiamenti pagani con sacrifici di animali Caterina, condannandoli, chiese al governatore di riconoscere Gesù Cristo come redentore dell'umanità. Il governatore esortò un gruppo di retori affinché la convertissero e convincessero ad onorare gli dei pagani ma Caterina, dotata di grande intelligenza ed eloquenza, riuscì a capovolgere la situazione convertendo essa stessa i retori al Cristianesimo. Il governatore, pertanto, vista la mal parata, li condannò tutti a morte e, dopo l'ennesimo rifiuto di Caterina al paganesimo, condannò a morire anch'essa su una ruota dentata (strumento di tortura allora in voga). Ma la ruota, forse per intervento divino, si ruppe e Massimino fu obbligato a cambiar la sentenza di morte ed a far decapitare la santa. Secondo una leggenda nata successivamente, il suo corpo fu trasportato dagli angeli sul monte Sinai, dove nel VI° secolo, l'imperatore Giustiniano fondò il monastero che porta il nome della santa. La stessa Chiesa cattolica ha spesso espresso dei dubbi sulla reale esistenza della santa tanto che, curiosamente, gli anni nei quali il 25 Novembre cade di domenica, si festeggia in sua vece Cristo Re. L’iconografia Cristiana e quella Ortodossa della santa la ritraggono generalmente con abiti principeschi ed un ramo di palma tra le mani, a ricordo della vittoria sui nemici della fede cristiana. Inoltre sono quasi sempre presenti anche la ruota dentata (rotta), strumento del suo martirio, ed un libro, che ricorda la sua sapienza e che sta a rappresentare la sua funzione di protettrice degli studi e di alcune categorie dedite all'insegnamento (insegnanti ed ordini religiosi come i Domenicani e gli Agostiniani).


Ma a Roma, quella di Santa Caterina, è una celebrazione legata più che altro al cambio della stagione ed all’avvento del Natale. Secondo la tradizione romana, infatti, l'inverno avrebbe inizio il 25 Novembre, ad un mese esatto dal Natale, e proprio in questa data, come dice il Belli nel suo sonetto "Li ventiscinque novemmre" e fino agli inizi del ‘900, quando ancora non esistevano i riscaldamenti nelle abitazioni, era abitudine effettuare il cambio delle coperte, mettendo quella più pesante, ed accendere i bracieri da riscaldamento nelle stanze da letto e nelle cucine. All’entrata dei palazzi o delle case dei nobili e dei borghesi si stendeva una stuoia imbottita, quasi fosse un calendario dell’avvento. E proprio il 25 Novembre, appunto ad un mese esatto dal Natale, iniziavano a “calare” a Roma i “Pifferari”.

Questi personaggi abbigliati sommariamente, oramai scomparsi (anche se un moderno “pifferaio” mi è capitato di vederlo, qualche giorno fa per le vie del centro), altro non erano che agricoltori (costretti al "fermo" dalla stagione fredda e dalla neve che venivano a Roma per guadagnare qualcosa) e suonatori provenienti (per la maggior parte) dalle montagne abruzzesi. Il Belli ne parla spesso nei suoi sonetti: ne descrive la venuta a Roma con l’entusiasmo di un bambino dicendo che si sentiva rinascere e che a lui conciliava il riposo, nel dormiveglia, il suono grave ma un po’ stridulo e malinconico delle zampogne, cosa che ad altri, soprattutto agli stranieri non abituati a quel suono, dava invece molto fastidio; oppure li descrive anche fisicamente proprio nelle note autografe dei suoi sonetti. Facendo appunto riferimento al suo sonetto già citato il Belli li descrive come “…abruzzesi suonatori di pive e cornamuse o cennamelle che il popolo chiama “ciaramelle”, vestiti di mantelletti rattoppati che raramente giungono loro al ginocchio”. Generalmente gli zampognari (o pifferari) giravano in gruppetti di tre: uno suonava il piffero, uno la zampogna ed il terzo cantava litanie o canzoni dalle parole quasi sempre incomprensibili (sempre il Belli nelle sue note "...niuno può vantarsi di aver mai inteso ciò che essi cantano") ma, in fondo, era l'atmosfera che contribuivano a creare la cosa importante, non il testo delle loro canzonette.


Un’altra curiosità legata al 25 Novembre, come ad altri giorni dell’anno, è quella secondo la quale le condizioni meteorologiche del giorno di Natale sarebbero esattamente le stesse del giorno di Santa Caterina (…”Er tempo che ffarà cquela matina pe Natale ha da fàllo tal’e quale”. Come detto anche gli stranieri presenti a Roma nel periodo natalizio descrissero ampiamente l’abbigliamento ed il girovagare per le vie dei pifferai (o dei "Carciofolari”, cantori e suonatori d’arpa anch’essi provenienti prevalentemente dal vicino Abruzzo): William Gillespie, un turista americano in visita a Roma nel dicembre 1843, così li descriveva: "Già un mese prima di Natale le strade sono percorse da suonatori ambulanti di zampogne che sono detti Pifferai. Sono personaggi molto pittoreschi, dall'aspetto di banditi, con alti cappelli a pan di zucchero, decorati con piume e nastri svolazzanti, con mantelli di pelle di pecora, le gambe avvolte da strisce di panno a vivaci colori, i capelli lunghi e le barbe cespugliose."

LI VENTISCINQUE NOVEMMRE
Oggiaotto ch'è Ssanta Catarina Oggiaotto = tra una settimana
se cacceno le store pe le scale, store = stuoie
se leva ar letto la cuperta fina,
e ss'accenne er focone in de le sale.

Er tempo che ffarà cquela matina
pe' Nnatale ha da fàllo tal'e cquale.
Er busciardello cosa mette? Bbrina? busciardello = lunario
La bbrina vederai puro a Nnatale..

E ccominceno ggià li piferari
a ccala' da montagna a le maremme
co cquelli farajoli tanti cari! .

Che bbelle canzoncine! Oggni pastore
le cantò spiccicate a Bbettalemme
ner giorno der presepio der Zignore


LA NOVENA DE NATALE
Eh, ssiconno li gusti. Filumena
se fa vveni' cqueli gruggnacci amari facce tristi
de li scechi: Mariuccia e Mmadalena
chiameno sempre li carciofolari,

e a mmè mme pare che nun zii novena
si nun zento sona' li piferari:
co cquel'annata de cantasilena andamento cantilenante
che sserve, bbenemio!, so ttroppi cari.

Quann'è er giorno de Santa Caterina
che li risento, io ciarinasco ar monno:
me pare a mmé dde diventa' rreggina.

E cquelli che de notte nu li vonno?
Poveri sscemi! Io poi, 'na stiratina,
e mme li godo tra vviggijj' e sonno. nel dormiveglia