29 gennaio 2008

ETTORE ROESLER FRANZ

Voglio ora rendere omaggio, in prossimità del centenario della morte, ad uno dei miei pittori preferiti: Ettore Roesler Franz.



Nato a Roma (in Via dei Condotti) l'11 maggio 1845, da una famiglia di banchieri e diplomatici di origine tedesca (e non svizzera, come per diverso tempo si è erroneamente ritenuto), si è reso famoso per i suoi acquerelli dedicati alla Roma di fine '800. La sua famiglia, tanto famosa da essere citata anche dal Belli, fondò a Roma l'Hotel d'Allemagne, tra Piazza di Spagna e Via Condotti, albergo che ospitò i più famosi personaggi del periodo: da Stendhal a Wagner, da Goethe a De Lesseps (l'ideatore del Canale di Suez), dal fratello di Napoleone, Luciano, al romanziere Thackeray, all'archeologo Winckelmann.
Dopo aver compiuto gli studi nell'Istituto dei Fratelli delle Scuole Cristiane, al Collegio di Propaganda Fide ed all'Accademia di San Luca (dove studiò architettura), lavorò presso il Consolato Inglese come segretario e poi, fino ai 30 anni, nella banca di famiglia, fondata nel 1836 e gestita dal fratello Adolfo; la banca, con gli uffici in Via dei Condotti, fu attiva fino al 1936 e fu una delle maggiori banche private romane. Dal 1875 iniziò a dedicarsi esclusivamente alla pittura, fondando con Nazareno Cipriani la Società degli Acquerellisti di Roma, attiva fino al 1908, divenendone più volte presidente.
La spinta iniziale e forse determinante verso la pittura gli venne probabilmente dal voler seguire le orme di suo cugino Giuseppe, valente acquerellista (tre suoi lavori si trovano esposti nel Museo di Roma di Palazzo Braschi), che morì ad appena 13 anni nel 1851 (non a caso nel suo monumento funebre nella basilica di San Lorenzo in Lucina é scolpito un pennello).
Come dirò in seguito Roesler Franz fu molto attivo anche all'estero, tanto che nel 1878 presentò due opere all'Esposizione Universale di Parigi e dal 1878 al 1881 viaggiò in Scozia ed in Inghilterra, oltre che in Italia, in particolare in Lombardia ed in Veneto. Proprio in Inghilterra i suoi acquerelli vennerò quotati molto bene, in particolare quelli che raffiguravano la campagna romana, rendendo l'artista tra i più apprezzati del periodo. Nel 1882 presentò 12 acquerelli alla Settima Esposizione della Società degli Acquerellisti di Roma e, nel 1883, al Palazzo delle Esposizioni, presentò la prima serie di acquerelli romani, che lui stesso definì “Memorie di un’era che passa”: è, questa, la prima delle tre raccolte, di 40 tele ciascuna, dedicate a Roma ed acquistata (per 18.ooo Lire) dal Comune di Roma nel 1883. Come detto fu presentata in occasione della "Mostra Nazionale ed Internazionale di Belle Arti", con cui a Roma si inaugurò il Palazzo delle Esposizioni in Via Nazionale e, per prima, portò notorietà al pittore anche in patria. Il Comune di Roma, conscio che la Roma dell‘800 sarebbe presto scomparsa, vittima dei mutamenti e degli sventramenti resisi necessari per renderla una città “al passo con i tempi”, “investì” molto su Roesler Franz: in occasione della suddetta mostra, su un totale di 50.000 Lire stanziate per l’acquisto di tele e manufatti destinati ad arricchire i musei comunali, appunto più di un terzo furono riservati alla prima serie di acquerelli di Roesler Franz; le rimanenti due serie di 80 tele (praticamente tutte della misura 75x53 cm.) furono acquistate per 35.000 Lire nel 1908.
Nel 1885 e nel 1887 Roesler Franz partecipa con alcune tele alle mostre londinesi del Royal Institute of Painters in Water Colour. Nel 1888 è a Berlino e nel 1890 all'Esposizione di Dresda e Vienna, dove viene premiato con la medaglia d'oro per i suoi acquerelli romani. Nel 1902 partecipa all'Esposizione Romana a San Pietroburgo. Nel 1894 è di nuovo a Londra, nel 1905 alla Biennale di Venezia e nel 1907 partecipa alla 57a Esposizione Internazionale di Belle Arti.
La cosa che forse colpisce maggiormente di Roesler Franz è come critici ed artisti lo elogiassero già all'epoca per il suo operato, considerandolo l’”ultima spiaggia” (insieme forse soltanto alle fotografie degli
Archivi Alinari ed ai filmati dell'Istituto Luce) per significare ai posteri l’aspetto della Roma di fine ‘800, com’era prima degli smembramenti decisi dal piano regolatore del 1872, e come andava mutando per gli apportati ammodernamenti. In effetti la sua opera, pittorica e fotografica, è di interessantissimo valore documentario proprio per la testimonianza in tempo reale delle ristrutturazioni urbanistiche iniziate dopo il 1870 e per le attività quotidiane del popolo romano. Interessanti sono, infatti, le riproduzioni di scene di vita quotidiana, che ci mostrano Roma in fin dei conti ancora come una città-paese per l’abbigliamento, gli usi e, non da ultimo, per il fatto che luoghi ora di alto interesse artistico ed archeologico come i Fori Romani, San Giovanni e molti altri fossero ancora adibiti a pascolo per le greggi. Grande attenzione Roesler Franz dedicò alla campagna romana, alla Via Appia ma, soprattutto, al Tevere. Il fiume era, infatti, alla fine del XIX° secolo la più importante via di comunicazione attraverso la quale arrivava a Roma ogni tipo di merce: nei porti fluviali di Ripa Grande e di Ripetta approdavano infatti le merci provenienti dalla Sabina e dall'Umbria, come l'olio, il frumento o il vino; in particolare il porto di Ripa Grande era aperto ai grandi traffici del Mediterraneo. Il pesce fresco veniva portato dal Porto Boario al Portico d'Ottavia (più volte dettagliatamente raffigurato da Roesler Franz) per essere venduto al "cottìo", cioè all'ingrosso: la vendita si effettuava sotto forma di asta ed era tradizione della borghesia romana, nei giorni immediatamente precedenti il Natale, recarsi al mercato del pesce per assistere alle divertenti aste tenute dai popolani. Tali aste erano ritenute di gran divertimento dai nobili e dai borghesi romani poichè venivano usati dei termini gergali perlopiù incomprensibili a chi non fosse avvezzo alla frequentazione del mercato (venditori al minuto, cuochi delle famiglie nobili, osti e trattori): ad esempio la "paìna" era il prezzo complessivo del pesce acquistato da un venditore nel corso di una intera settimana mentre il termine "ingrandire uno" significava vendergli del pesce quasi avariato.
Ma le sponde del Tevere, fino ai primi decenni del '900, erano frequentate anche da barcaioli, traghettatori, molinari (gli addetti ai molini mobili, ancorati alle sponde del fiume, dove si macinava il grano), ragazzini che, malgrado i divieti, facevano in bagno nudi nel fiume e coppiette di innamorati che spesso si riparavano sulle rive ombrose e ricche di vegetazione in cerca di intimità. Un altro aspetto della Roma-paese che attraeva particolarmente Roesler Franz erano le scene di vita quotidiana del popolino romano: le donne intente nei lavori di filatura, rammendo, preparazione dei cibi, lavatura dei panni (in ogni tela raffigurante scene di vita quotidiana nel ghetto o nei cortili dei palazzi nobiliari appaiono, immancabili, i panni stesi alle finestre o gli splendidi tappeti stesi in terra in strada per essere lavati o rammendati) ma anche i maniscalchi, i bancarellai, gli ombrellai.... Roesler Franz poneva grandissima attenzione ai particolari, tanto che gli schizzi preparatori delle tele erano zeppi di note e commenti circa l'atmosfera ed il colore di una strada in una particolare ora della giornata rispetto ad un'altra ora, ai personaggi che la frequentavano, alla descrizione delle immancabili "madonnelle" o alla presenza di pozzanghere che rispecchiavano particolari architettonici, o ancora alle targhe stradali, le insegne dei negozi e, più frequentemente, delle osterie (segnalate da una frasca di edera o di alloro, dalla ruota di un carro, da un cerchio di botte o da un drappo rosso, la caratteristica fascia che contraddistingueva i carrettieri che portavano a Roma il vino dai Castelli Romani).
Come detto viaggiò molto ed in Inghilterra fu uno dei più apprezzati pittori italiani del periodo; parlava correntemente inglese, francese e tedesco ed espose più volte a Parigi, Londra, San Pietroburgo, Berlino, Dresda, Stoccarda, Monaco di Baviera e Vienna, nonché in Olanda e Belgio. Un suo acquarello si trova nel Museo "Art Gallery of New South Wales" di Sydney (Australia), mentre altri due acquarelli nel Museo di Southampton (Gran Bretagna).
La caratteristica, però, che lo rende forse unico è, come detto, la meticolosità, tanto che non si muoveva mai senza la sua macchina fotografica, con la quale immortalava tutti i particolari che riportava poi su tela, ed il libriccino, in cui segnava ogni più piccola curiosità che colpiva il suo sguardo: giochi di luce tra i rami, la diversità dei colori di uno stesso albero, le diverse sfumature del terreno... Per quanto riguarda i materiali, poi, era molto pignolo: carta, pennelli e colori e il relativo raccoglitore erano tutti di provenienza inglese e da lui personalmente scelti. Malgrado ciò, una volta, nei dintorni di Tivoli, dovette costruirsi un pennello con peli strappati dalla coda di un somaro e legati con uno spago. Il suo motto era “
La sincerità fa l’artista grande” e lo si poteva leggere all’ingresso del suo studio privato di Piazza San Claudio 96, da dove si era trasferito dal precedente in Via del Bufalo 133 e che, con grande disponibilità, lasciava aperto a tutti, ogni giorno, dalle ore 14 al tramonto. Dipinse, nell’arco di 25 anni, 120 vedute dedicate a Roma (divise appunto in tre serie) e quasi tutte possono essere definite “pitture in tempo reale” poiché si recava nei luoghi che intendeva ritrarre pochi giorni prima dell’inizio dei lavori di smembramento e prendeva appunti su tinte, colori e particolari; faceva schizzi o scattava fotografie per poi scegliere il miglior angolo di visuale da riportare su tela. La sua è una straordinaria Roma fatta di scorci, panoramiche, angoli nascosti ma anche giardinetti, cortili, piazze: la Roma popolare e popolana delle insegne delle osterie, dei pergolati, del fiume, dei sampietrini e delle pozzanghere che riflettono il cielo azzurro… una città semplice ed a misura d’uomo (che sarebbe poi scomparsa quasi del tutto nel giro di un decennio). La seconda e la terza raccolta (1891) sono state da lui stesso intitolate “Roma Pittoresca” e vennero esposte con gran successo nel 1897, insieme ad altri acquerelli raffiguranti la campagna romana e Tivoli, città da lui molto amata (vi comprò anche casa) e della quale divenne cittadino onorario nel 1903 (onorificienza che ricambiò col il dono della tela “Ponte Lupo – Poli”, del 1898, attualmente affissa nello studio del Sindaco). I 40 acquerelli della seconda raccolta “Roma Pittoresca” sono così suddivisi: i primi tre sono degli scorci senza titolo, quelli dal 4 al 12 raffigurano il Tevere; dal 13 al 19 il Ghetto e il Portico d’Ottavia; dal 20 al 22 “Presso Piazza Montanara”; dal 23 al 31 “Transtevere”; dal 32 al 40 “Al di qua di Ponte Rotto”. A questi titoli, dati dal pittore stesso, seguono delle note: il segno * contrassegnava delle opere che raffiguravano soggetti in parte o completamente demoliti; il segno ** i soggetti di prossima demolizione: alla fine si può osservare che di 37 soggetti identificati nelle tele soltanto 4 sono sopravvissuti alle demolizioni di fine secolo o successive. Malgrado l’artista stesso auspicasse che “...la collezione dovrebbe essere posta in una sala speciale con una grande carta topografica della vecchia Roma in cui io darei indicazioni dei luoghi dove sono stati ripresi i quadri e questo faciliterebbe gli studiosi delle future generazioni nel capire quale era l'aspetto di Roma prima dei presenti mutamenti”. Purtroppo la raccolta non è completa perché dei 120 acquerelli acquistati dal Comune di Roma se ne è perso uno (quello raffigurante "Palazzo Mattei alla Lungaretta") a Colonia nel 1966 durante una mostra itinerante e da allora non è stato più ritrovato. La maggior parte delle opere, 93, sono custodite al Museo di Roma (Palazzo Braschi) in piazza San Pantaleo, mentre i rimanenti 26 acquarelli si trovano nel Museo di Roma in Trastevere (già Museo del Folklore) in piazza Sant'Egidio. La sua opera non è costituita di soli acquerelli (dipinse infatti anche diverse tele raffiguranti paesaggi degli Appennini Abruzzesi, di Ninfa, di Tivoli e della campagna romana) ma anche di alcuni olii, bozzetti a matita o tempere. Affermava, comunque, che l’acquerello fosse “...il mezzo più acconcio a riprodurre con verità le vedute campestri e specialmente le trasparenze dei cieli e delle acque”. Ebbe un unico allievo, il tiburtino Adolfo Scalpelli (che per testamento ereditò tutti i bozzetti, gli schizzi, i disegni, gli acquarelli non finiti dell'artista, nonché le sue foto, e che morì poi ad appena 29 anni nel 1917 combattendo sull'Altipiano della Bainsizza durante la prima guerra mondiale). Morì a Roma il 26 marzo del 1907.

Qualche tela...


Il Ghetto al Portico d'Ottavia


Stagni di Maccarese con due raccoglitori di fascine in primo piano sotto un albero


Veduta di CastelGandolfo


Lato inferiore di Villa d'Este con sullo sfondo due suore ed i Monti Cornicolani


Il Bosco Sacro della Ninfa Egeria dopo il temporale



Il Tevere nei pressi di Settebagni a Roma con la cupola di S.Pietro sullo sfondo

Barca sul Tevere dopo Ponte Milvio con la cupola di S.Pietro sullo sfondo


Case medioevali in Via di S.Bonosa attigue alla Torre degli Anguillara.
Sullo sfondo si nota la cupola di S.Carlo ai Catinari.



Via del Campanile in Borgo con il Campanile della Chiesa di S.Maria in Traspontina.
Sullo sfondo il Passetto di Borgo.



Bambini sotto un albero in riva al Tevere alla Salara dopo Ponte Rotto

E qualche fotografia...

Santa Bonosa


Ripa Grande

01 gennaio 2008

FESTE E TRADIZIONI ROMANE: MISTER OK E IL TUFFO DEL PRIMO GENNAIO

E dopo la notte passata nelle strade e nelle piazze di Roma (una tradizione di recente istituzione) a festeggiare il capodanno assistendo a spettacoli e concerti gratuiti, un'altra tradizione che da ben 53 anni si ripete a Roma è il tuffo nel Tevere, da Ponte Cavour, il primo giorno dell’anno, alle 12 dopo lo sparo del cannone del Gianicolo. Questo appuntamento, oramai tradizionalmente atteso da una grande folla di romani e turisti, si deve all’italo-belga Rick De Sonay, meglio conosciuto a Roma, come “Mister OK”, perchè prima e dopo ogni tuffo faceva con la mano il segno di "OK" per rassicurare la folla. In questo modo singolare Mister OK voleva salutare il nuovo anno. In effetti, oltre mezzo secolo fa, il Tevere era un fiume ancora non inquinato ed il rapporto che soprattutto i ragazzi avevano con lui era ben diverso da quello che hanno i ragazzi di oggi: il fiume era, subito dopo la guerra, il “mare dei romani” e bande di ragazzi, nelle calde giornate estive, prendevano il bagno proprio nelle sue acque, sotto i ponti e vicino i mulini che, a quei tempi, ne riempivano le sponde. E da un paio d’anni sono stati anche ripristinati i famosi “barconi” che, attrezzati con sabbia, sdraio ed ombrelloni, danno la possibilità ai romani (almeno a quelli più coraggiosi, in verità) di prendere il sole proprio sotto i bastioni di Castel Sant’Angelo. Scomparso oramai da qualche anno il buon Mister OK, che comunque fino ad età avanzata non mancava l’appuntamento annuale con il fiume, la sua eredità è stata raccolta dagli abituali tuffatori Marco Fois, Aldo Corrieri ma soprattutto da Maurizio Palmulli, bagnino 55enne ai cancelli di Castelfusano, che da ben 20 anni esegue il pericoloso tuffo: pericoloso perchè l’acqua del Tevere non è mai troppo profonda da poter garantire la necessaria sicurezza ai tuffatori, per non parlare degli eventuali oggetti o rami che potrebbero trovarsi in acqua. E, non da ultima, la temperatura, sia in acqua che fuori, quasi prossima agli zero gradi... non per niente siamo al primo gennaio.... Eppure da ben oltre cinquanta anni la tradizione sopravvive e, ogni anno, si aggiungono agli abituali temerari tuffatori dei nuovi pazzi, pronti a tuffarsi da oltre 18 metri d’altezza nelle acque gelide e non proprio pulitissime.




L’amicizia tra il Palmulli e Mister OK risale a diversi decenni fa: il Palmulli racconta infatti di aver conosciuto da bambino Mister OK al pontile di Ostia. E per questo si è sentito quasi obbligato a tramandare il tradizionale tuffo quando seppe della malattia di Mister OK. La tradizione del tuffo, pericoloso ma oramai tollerato dalle autorità ed immancabilmente ripreso, ogni anno, da diverse troupe televisive, viene quindi portata avanti dagli abituali “tuffatori”, proprio per il fatto che nessuna autorità si prende la responsabilità di autorizzarlo ma, allo stesso tempo, non si può deludere tutta quella folla di spettatori che annualmente si attesta alle balaustre del ponte gia dalle prime ore della mattina del primo gennaio. Palmulli racconta poi che in un anno di particolare “piena” del fiume il comandante della polizia fluviale, su un battello che era stato predisposto per “recuperare” gli infreddoliti tuffatori, li diffidò formalmente dal tuffarsi, proprio per la pericolosità dovuta alla forte corrente del fiume. I tuffatori, allora, diedero “apparentemente” appuntamento alla folla di spettatori al seguente 6 gennaio, ma poi, allontanatosi il battello della polizia fluviale, con una semplice occhiata d’accordo tra di loro si tuffarono, per non deludere gli spettatori accorsi sul ponte. Il buon senso dei poliziotti li fece tornare indietro a raccogliere i tuffatori e visto l’entusiasmo della folla, evitò di arrestarli. Come potete verificare nel filmato Mister OK divenne così popolare da veder inserito uno dei suoi tuffi nel Tevere nel film "Straziami ma di baci saziami", con Nino Manfredi (che poi lo emula per affogare le sue pene d'amore).