17 luglio 2014

ROMA CURIOSA - LA MANO DI CICERONE

La Basilica minore di Sant’Anastasia sorge tra il Circo Massimo e il Foro Romano, sulle pendici sudoccidentali del colle Palatino.
Eretta nel 1722 sui resti di un edificio romano del primo secolo dell’impero (che alcuni studiosi hanno identificato essere il vestibolo del “Lupercale”, la grotta nella quale la lupa della leggenda romana avrebbe allattato i gemelli Romolo e Remo, appena salvati dalle acque del Tevere) e su delle preesistenti “tabernae” che erano inserite nella recinzione esterna del Circo Massimo, è una delle 25 chiese titolari originarie di Roma: in particolare risulta essere la prima chiesa eretta nel cuore dell’antica Urbe, sotto il palazzo dell’Imperatore Augusto, tra l’Ara Massima di Ercole, il Circo Massimo ed il Foro Romano.
Anastasia, di nobili origini (sembra fosse una sorella dell’Imperatore Costantino), nata a Roma nel 281 da un senatore e da una cristiana, fu battezzata segretamente dalla madre Fausta ed educata alla fede cristiana da San Crisogono;  andò sposa in giovane età ad un certo Publio, che limitò le sue attività caritative segregandola in casa; Anastasia rimase però presto vedova e, dopo la morte di Publio, si recò in Illiria, a Sirmio, dedicandosi all’assistenza dei cristiani perseguitati. Essa stessa fu vittima delle persecuzioni di Diocleziano e, come tale, venne arsa viva il 25 dicembre del 304. Il suo culto si propagò nelle regioni orientali dell’Impero (Illiria, Pannonia) e, quando la religione cristiana divenne, sotto l’Imperatore Costantino, religione di Stato, le venne dedicata una chiesa a Sirmio e le sue spoglie vennero traslate a Bisanzio, dove vennero deposte nella Basilica della Resurrezione.
Successivamente, ad opera dei Goti e dei Longobardi, nel V secolo, il suo culto arrivò anche a Roma.
Dopo l’edificazione della chiesa a lei intitolata, il Papa iniziò a celebrare la messa dell’Aurora del giorno di Natale, messa a lei dedicata. Successivamente il suo culto fu portato nell’Europa intera ad opera dei frati Benedettini.
Anastasia è stata innalzata, dalla Chiesa, al rango di “Grande Martire” ed inserita tra i quindici martiri nominati dai sacerdoti (sia cattolici che ortodossi) durante la preghiera del rito liturgico dell’Eucaristia.
La basilica di Sant’Anastasia è stata la prima chiesa a praticare l’Adorazione Eucaristica Perpetua: una forma di preghiera durante la quale il pane, consacrato con il rito dell’Eucaristia, viene esposto ai fedeli mediante l’uso dell’ostensorio.



Ma, arrivando alla curiosità di cui voglio in realtà parlarvi, diciamo che alla Basilica è annesso un Monastero dei Padri Olivetani, la cui facciata (in via dei Cerchi 87, proprio sul Circo Massimo) attrae la nostra attenzione.
I Padri Olivetani, appartenenti all’Ordine di San Benedetto, prendono il nome dal monte Oliveto, in provincia di Siena.
L’ “Ordo S. Benedicti Montis Oliveti” fu istituito nel 1313 dal patrizio senese Giovanni di Mino Tolomei, che si ritirò a vita penitente in un suo possedimento di Accona, nella Valle dell’Ombrone, assieme ad Ambrogio di Mino Piccolomini e Patrizio di Francesco Patrizi. Il vescovo Guido Tarlati dei Pietramala, avendo giurisdizione sul luogo, ne approvò, nel 1319, l’istituzione monastica, basata sulla regola di San Benedetto, e concesse la facoltà di erigere un monastero con annessa chiesa.




Clemente VI, il 21 gennaio 1344, concesse la conferma apostolica all’Ordine, autorizzando anche la fondazione di nuovi monasteri, regolarmente costituiti e dipendenti dal cenobio principale, dove l’istituto aveva avuto fondazione. Già alla fine del XIV secolo i monaci olivetani raggiunsero il numero di 300 e, in un censimento del 1524, il numero di 1190.
L’Ordine ebbe grande importanza nel XIV secolo, favorendo il fiorire di una rilevante scuola di miniatori, ricamatori e lavoratori del legno, che hanno lasciato notevoli opere nelle chiese dell’Ordine (splendidi sono gli affreschi lasciati da Luca Signorelli e dal Sodoma, nell’Abbazia principale), e superò il numero di 100 cenobi, con oltre 2000 monaci.
Attualmente ci sono oltre 30 monasteri, in Europa e nel resto del Mondo.
Al Monastero di Monte Oliveto Maggiore sono affiliate anche delle comunità femminili in Italia, Svizzera, Belgio, Inghilterra, Francia e Stati Uniti.
Fatto questo secondo preambolo voglio far concentrare la vostra attenzione sulla facciata seicentesca del monastero del Circo Massimo: il suo prospetto sembra il sipario di un teatro ed è sormontato da una “mano” con l’indice puntato al cielo, simbolo di rimando a Dio.


La struttura originaria dell’edificio è costituita da un casale, che originariamente faceva parte degli “Orti Farnesiani” (giardini voluti da Alessandro Farnese, nipote di papa Paolo III, e realizzati da Alessandro Algardi), che si estendevano alle falde del Palatino. L’odierna facciata, arcuata e costituita da un continuo gioco di finestre di varia forma, vere o finte, da un gioco di pieni e di vuoti oltre che dal portale, incorniciato a stucco (come le finestre), con i gigli, simbolo dei Farnese.


La “mano”, cui abbiamo appena accennato, e che appare stilizzata anche su una finestra di destra, sormonta un curioso cornicione ad oculi cavi e caratterizza il coronamento arcuato della facciata: dal popolo romano era chiamata “la mano di Cicerone”, forse in riferimento all’indice puntato, tipico di un’arringa oratoria.  Si tratta di un calco in gesso di un ex voto conservato in una cappella, demolita nel 1939 per l’allargamento della strada, che sorgeva nei pressi e che era detta di “Santa Maria de Manu”.


Si narra che in quel punto fosse venerata, originariamente, un'immagine della Vergine: a seguito dell’oltraggio portatole da alcuni ebrei (il Ghetto di Roma è a distanza di poche centinaia di metri), quando questa era ancora addossata ad un edificio nella strada, sembra che l’icona avesse iniziato a sanguinare. La notizia del fatto miracoloso fece il giro della città e molti fedeli affluirono per chiederle la grazia: per evitare che venisse ulteriormente danneggiata, fu deciso di costruire un oratorio dove la "Madonna dei Cerchi", come venne denominata, potesse essere venerata in tutta sicurezza.
Il popolo romano, che tutto svilisce ironicamente, affermava nel Cinquecento, che quella mano con l’indice alzato stesse ad indicare il prezzo del vino (“un bajocco a fojetta” = un soldo ogni mezzo litro) praticato da una vicina osteria.